Lunedì 04 07

Per l’ultima volta mi sveglio all’alba, il deserto mi farà bene e riprenderò dei ritmi di sonno normali. Esco alle 6, passeggio intorno al camp, supero il dosso dal quale siamo arrivati e salgo sulle rocce sovrastanti: non c’è nulla di animato, solo la luce spettrale dell’alba che dà vita lentamente a questo posto magico. Oltre il camp una coppia di oche indiane sorvola il rivolo melmoso, di là dal quale un grosso gregge di ovini pilucca dagli arbusti.

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La padrona del camp, prima di chiudersi in cucina a prepararci la colazione, ha voglia di chiacchierare con me. Mi racconta che ha lavorato come ostetrica in Svizzera, dove ha imparato il tedesco, ma ora è tornata a casa per godersi la pensione. La prima visita è a un altro monastero dall’atmosfera suggestiva, Onghiin Khiid.

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Ne restano in piedi solo due edifici adibiti a tempio (appena ricostruiti) e pochi mattoni in rovina, ma in questo complesso nel 1600 vivevano decine di monaci, da un lato del fiume gli anziani, dall’altro gli allievi.

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I russi ufficialmente lo distrussero negli anni 30, ma è anche possibile che i templi siano crollati, in quanto costruiti con materiali inadatti allo scopo.

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Procediamo con l’idea di arrivare a Bulgan Sum all’ora di pranzo perché Tsojoo deve cambiare soldi in banca, ma in un tratto di deserto pietroso, privo di vita (vediamo solo carcasse di cammello) siamo colti di sorpresa da una tempesta di polvere.

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Procediamo lentamente sul fuoristrada, dritti, in piano ma senza vedere nulla e con l’impressione che nemmeno Tsojoo sappia dove stiamo andando. Lost in Mongolia. Funzionano “solo” i cellulari di Tsojoo e Bothro: all’ennesima sosta per raffreddare il motore, lui si accorge che la ventola è rotta e non possiamo proseguire. Niente panico, qualcuno passerà (!!!) anche se i mezzi che incontriamo ogni giorno si contano sulle dita di una mano. Mentre loro due svitano qualche pezzo nel vano motore noi scendiamo, ma il vento ci porta via e non si vede nulla.

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Mentre Tsojoo chiama soccorsi con il cellulare Bothro raccoglie da terra venti sassolini e, nell’attesa dei soccorsi, giochiamo a morra: è una maestra, un’intrattenitrice nata, me l’immagino nello splendore dei suoi 20 anni quand’era direttrice al Badmarag Camp, riusciva a far divertire i clienti, a far rigare dritto i collaboratori, ha anche trovato marito. Brava, bella e fortunata. Dalla polvere spunta un mezzo che accosta, un tizio abbassa il finestrino e fa spuntare una ventola. La nostra, rotta, vola fuori e in pochi minuti quella nuova è al suo posto, ben avvitata. Evviva, ripartiamo (anche se abbiamo perso qui quasi 2h). Arriviamo alle 16 a Bulgan Sum, un capoluogo di distretto che sembra davvero uscito da un film western con il saloon e i cercatori d’oro.

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Questi ultimi si possono trovare nella Mongolia d’oggi, il saloon no.

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Percorriamo un canyon sovrastato da montagne rossicce, dovremmo incontrare capre, stambecchi, aquile – nulla.

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Segue una facile spianata, all’orizzonte un camp con le amate gher e, ahimè, una dozzina di fuoristrada parcheggiati, una visione nuova a cui avremmo volentieri rinunciato.

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Proprio qui a Gobiin Anar passeremo due notti, e proprio qui alloggiano oltre 80 persone; accanto alle 25 gher in dotazione, pienissime (è l’unico posto dove dormiremo in tre per ogni gher) alcuni ospiti hanno montato le proprie tendine. Non so come abbiano fatto, sferza un vento fortissimo 24h su 24, ma noi non ci lasciamo intimorire da questo, né dalla coda pazzesca per accedere alle due docce, né dalla pochissima acqua (fredda, ça va sans dire) né dai tre turni per cena, né dal chiasso che fanno i gruppi più numerosi. Noi siamo otto in totale poi c’è un gruppo di nove italiani di un tour operator sconosciuto, alcuni turisti sparsi, 15 tedeschi, 25 francesi e 25 inglesi (vedere oltre). A cena sembra di essere in mensa, poi vediamo il tramonto…

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poi intravvediamo un serpente a sonagli sulla porta dei ns bagni, chiacchieriamo e alle 23 spengono il generatore. Fa freddo e tira vento ma accomodiamo gli sgabellini fuori dalla ns gher per vedere le stelle cadenti, subito ci raggiungono due giovani del gruppo di inglesi che ci attaccano una pezza tremenda. Sarebbero un avvocato e un ingegnere, età massima 25 anni, hanno voglia di fare un mestiere diverso e per questo sono venuti in Mongolia a seguito di un’organizzazione inglese, Just A Drop, che cerca di scavare pozzi in zone disagiate della Terra e, proprio domani pomeriggio, taglierà il nastro del nuovo pozzo. Stiamo oltre 1h a chiacchierare, ci raccontano della loro missione, noi col naso all’insù speriamo in una stella cadente. Ce n’è qualcuna, ma poco dopo mezzanotte cediamo al sonno e andiamo a letto.

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2 comments

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Brava!

Ezio Dal Cin – tramite cellulare

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si fa quel che si può… e venerdì ciaspolata finalmente!

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