Cave e miniere fanno parte da sempre del paesaggio toscano, sul continente e (per esempio) sull’isola d’Elba, il cui capoluogo non a caso si chiama Portoferraio. Il prezioso marmo di Carrara si contende con Botticino in provincia di Brescia, e la Lessinia in provincia di Verona, il primato italiano di questa produzione.

Gioie e dolori: l’industria estrattiva è necessaria e funzionale a tante altre attività economiche, nel Novecento è stata un motore fortissimo per lo sviluppo economico di alcune aree, ma il prezzo che gli operatori e l’ambiente hanno pagato è enorme, con frequentissimi incidenti, malattie professionali e un inquinamento elevato. Non c’è da sorprendersi se la globalizzazione ha colpito anche questo settore: laddove si sono resi disponibili giacimenti più facili e manodopera a basso costo da sfruttare, le aziende vi hanno effettuato investimenti massicci spostando le attività in Paesi da questo punto di vista più redditizi. Molti giacimenti sono stati chiusi.

Questo destino ha segnato diverse aree minerarie anche nella mia amata Toscana: centinaia di persone con la chiusura delle miniere si sono trovate senza lavoro, senza una prospettiva di prosperità per sé e per la famiglia, con un futuro tutto da reinventare. Abbadia San Salvatore, sul versante senese del monte Amiata, fino al 1976 ospitava una delle tre maggiori miniere di cinabro (minerale da cui si ricava il mercurio) del mondo; le altre sono (o per meglio dire erano) in Spagna e Istria. La chiusura della miniera è avvenuta quando è stato possibile sostituire il mercurio con altre sostanze molto meno care, e quando l’inquinamento ambientale era ormai insostenibile.

Dopo due mezze giornate trascorse alle terme di Chianciano, nel corso del tour dedicato alle terme in terre di Siena siamo diventati seri e abbiamo visitato il Parco Minerario del Monte Amiata, un interessante spaccato di quella che fino a quarant’anni fa era un’industria fiorente, pur tra luci e ombre. Il parco è un utilissimo esempio di recupero museale a scopo didattico e fa parte di un progetto europeo che coinvolge altre vecchie miniere. La ricchezza di documentazione e immagini d’archivio è evidente, ma la nostra fortuna è ascoltare la storia e i racconti di vita in miniera dalla viva voce di Paolo, ex minatore, la nostra guida umana che alla soglia degli 80 anni ci prende per mano e per oltre due ore diventa il nostro angelo custode, fin nelle viscere della terra…

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Fino al 1897 Abbadia San Salvatore era un borgo medievale poverissimo, i cui abitanti si nutrivano di castagne e funghi, i pochi frutti della terra. Lo sfruttamento della miniera fu promosso in quell’anno, dapprima dai tedeschi, e fu sviluppato per tutta la prima metà del secolo scorso, per poi andare sotto il controllo italiano negli ultimi decenni d’attività.

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Man mano che una vena veniva esaurita se ne cercavano di nuove con prospezioni graduali, anche con l’aiuto di rabdomanti che sentivano la presenza di vene nel sottosuolo. Vi lavoravano oltre 2000 persone, incluso l’indotto.

Paolo ci illustra la tradizione mineraria come “un’eredità familiare che si tramanda di padre in figlio”. Le sue parole ci entrano in mente come istantanee, delle pezze che poi a rielaborarle ci fanno sentire vicino un mestiere ormai lontanissimo e per certi versi incredibile. Strano però: fino a pochi decenni fa dal sud e dalle mie parti si emigrava ancora verso il centro Europa, per andare per esempio nelle ricche miniere del Belgio che oggi ricordiamo soprattutto a seguito di tragedie come quella che accadde a Marcinelle.

Paolo entra in miniera a 13 anni, con il babbo minatore, ed è affidato a un altro minatore anziano che come rito di iniziazione lo denuda e lo cosparge di polvere rossa; ancora si emoziona nel raccontarci questo suo ricordo.

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Un minatore è un uomo che non ha paura e non teme la fatica, ma ha il coraggio di scendere ogni giorno nelle viscere della terra per provocare le esplosioni con le mine, necessarie ad estrarre il cinabro. Un minatore alle prime armi è inesperto, ma affiancato a un collega con esperienza impara il lavoro e acquisisce le competenze necessarie per gestire la miniera ogni giorno.

Lavorando fianco a fianco due minatori diventano amici, imparano a conoscersi e a fidarsi l’un l’altro, anche in caso di pericolo. In miniera vi sono tanti rischi sempre in agguato, dall’esplosione incontrollata delle mine all’esaurimento dell’ossigeno, dalle frane e crolli alle inondazioni. Un incidente in miniera, specialmente in profondità, può provocare gravi lutti; tutti i minatori di Abbadia San Salvatore, incluso Paolo, hanno perso parenti o amici in miniera.

Un bravo minatore sa dove fare i fori col martello pneumatico per poi infilarvi le cariche esplosive, sa quale e quanto esplosivo collocare in ogni foro. Sa anche che deve allontanarsi sino all’esplosione programmata, per tornare infine a “raccogliere” il frutto di tanta fatica.

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Il cinabro è un duro ammasso di terra rossa che passa prima allo stato gassoso (sublimazione, fumo mercuriale) e infine allo stato liquido e diventa mercurio. Si chiama anche argento vivo, per il colore simile all’argento e perché è liquido. Ha molti usi civili, il termometro ad esempio, e usi bellici, es. il fulminato di mercurio utilizzato per produrre esplosivi e bombe. Il mercurio è un metallo liquido con un peso specifico pari a 13, più del piombo il cui peso specifico è 11.

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Il minatore scende giù al mattino con una dotazione di un litro e mezzo d’acqua e due fette di pane, quando l’acqua finisce si disseta da apposite bacinelle d’acqua potabile arricchita con sali minerali per reidratarsi.

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In miniera si lavora H24, la sirena scandisce ogni cambio turno, alle 6, alle 14 e alle 22; se suona fuori orario significa che c’è stato un incidente.

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Paolo è rimasto imprigionato due volte sotto terra, una volta per ben 24 giorni con colleghi minatori, con cui c’è stato il rischio di rimanere uniti nella morte dopo esser stati tanto tempo uniti nel lavoro. Per fortuna dall’alto è stato calato un sondino per nutrire i minatori con alimenti liquidi e, grazie a uno spiraglio d’aria rimasto, si è riusciti a mantenerli in vita sino all’arrivo dei soccorsi.

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Il Pozzo Garibaldi arriva a 400 metri di profondità ed è il più basso dei 16 livelli della miniera, uno ogni 25 metri. A partire da 200 metri di profondità si sperimenta il buio nero, che non è solo buio ma anche silenzio, torpore, fumo, polvere e mutata cognizione del tempo. Si sta a petto nudo, con una temperatura di 40°C e oltre; è come se si lavorasse in un forno.

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Per chi pensa che sottoterra si stia male, invece c’è anche di peggio. Chi si occupa della trasformazione del cinabro, lavora spesso senza dispositivi di sicurezza, è quindi esposto ai vapori mercuriali e respira sostanze estremamente nocive. Silicosi e idrarginismo, una sorta di morbo di Parkinson, sono alcune delle malattie professionali correlate alla lavorazione del cinabro.

Noi stessi scendiamo in miniera, protetti da caschetto e con una torcia frontale.

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L’esperienza è emozionante e toccante perché Paolo descrive la miniera in tutte le sue parti e continua a raccontarci gli aneddoti della sua vita.

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Come la medaglietta che ci si metteva al collo prima di scendere, all’inizio di ogni turno, che andava riposta a fine turno. Se nell’apposita cassetta mancava una medaglietta bisognava andare a vedere se c’era qualche minatore disperso.

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Che dire? Ora capisco meglio il significato di questo lavoro terribile e nobile al tempo stesso, che andava svolto con il corpo e con la testa. Non sarei mai in grado di affrontare nemmeno una parte delle fatiche, sacrifici e pericoli correlati al mestiere di minatore. Le ultime parole di Paolo che mi rimangono impresse sono queste…

Dopo essere usciti sani e salvi da un incidente in miniera c’è un solo modo di reagire: tornare giù subito. Chi non torna giù il giorno dopo non avrà più il coraggio di scendere.

Grazie Paolo!!

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