Questa non è una semplice storia di migranti, è il racconto appassionato ed emozionante che ho sentito dalla viva voce dei suoi protagonisti a Miglierina un mese fa, al bar Guzzi in via Melissa. Come a casa era il nome dell’educational tour a cui ho avuto l’onore di partecipare, come a casa i frateli Guzzi ci hanno rifocillato al mattino e alla sera tra una visita e l’altra. Siamo stati a Miglierina per soli due giorni sempre in salita, cioè con un crescendo di cose da fare. All’inizio pensavo che fosse solo un magna e bevi, poi ho scoperto che dietro ogni famiglia che visitavamo c’era una storia, e c’erano spesso i volti orgogliosi di chi se n’è andato dalla propria terra ma poi è tornato per renderla migliore, come i fratelli Guzzi che mi hanno raccontato la loro vita oltre Atlantico preparando un aperitivo sontuoso e succulento (per tutti), facendomi assaggiare tutto (prima degli altri).

Avevano la terra qui, ma dopo la guerra non c’erano condizioni economiche ottimali. Così hanno seguito le orme dei padri e dal 1969 al 1986 sono andati a Winnipeg, in Canada, dove erano già presenti alcuni familiari, assieme a una nutrita comunità calabrese.

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Con la faccia da finta timida che solo io so fare mi sono permessa di chiedere: siete andati in aereo o in nave? Noi in aereo, ma prima di noi erano partiti in nave. Questa pronta risposta mi ha deluso e confortato al contempo: io già immaginavo racconti di bagagli stipati in valigie di cartone che pure i miei parenti mi hanno descritto per la stessa epoca. E imitando la mia faccia il signor Guzzi mi ha guardato negli occhi e ha detto: non vorrà mica scrivere tutte queste cose che le sto dicendo? O è qui proprio per questo? Non solo, ma anche per questo ho risposto sorridendo. Da qui in poi siamo diventati amici, adesso mi scrivono invitandomi a tornare giù e spero di farlo, ne ho proprio voglia.

Secondo voi i fratelli Guzzi cosa sono andati a fare al freddo del Canada? Hanno scaldato la pancia ai Canadesi e hanno tenuto alto lo spirito del Made in Italy: all’epoca noi italiani non eravamo ancora coscienti delle potenzialità enormi dell’enogastronomia italiana ma loro, assieme a tanti altri migranti, nel loro piccolo l’hanno fatta crescere e apprezzare sino alle vette altissime di oggi. Passando da un paesino a una città, dal calore protettivo del sud al freddo e agli ampi spazi dell’America del nord. Dai volti noti di amici e parenti a facce nuove e sconosciute. Un bel salto non c’è che dire.

La gestione degli approvvigionamenti era sicuramente più semplice e umana di oggi, dagli anni Sessanta gli importatori di cibo e vino italiano hanno costruito un business che in molti casi è stato tramandato e prospera tuttora. Dei racconti dei fratelli Guzzi uno mi ha fatto particolarmente tenerezza: all’inizio la comunicazione era un problema, così si son fatti scrivere su un foglio i numeri da uno a cento e lo usavano di nascosto per firmare assegni e carte, con tanta paura di sbagliare. Tutti saldavano il conto, sia i clienti abituali sia i passanti, e i problemi si contavano sulle dita di una mano.

Mentre scrivo ricordo la prima calabrese emigrata che ho conosciuto vent’anni fa, quand’ero in Venezuela per lavoro. Rose si chiamava, abitava a Toronto dove c’è la maggiore comunità italiana, parlava solo dialetto calabrese stretto e io preferivo quando mi parlava in inglese. Mi ha raccontato la sua storia, simile a quella dei miei amici di Miglierina. I Guzzi hanno messo su famiglia e fatto figli, a Winnipeg sono cresciuti con la loro comunità finché negli anni Ottanta hanno realizzato che i parenti rimasti in Italia invecchiavano da soli. Hanno fatto due conti e hanno capito che era giunta l’ora di tornare a casa, a Miglierina. Hanno preso un aereo e in Calabria hanno ritrovato la loro terra più bella e ricca, ma sempre molto umana. Hanno ricominciato a svolgere il loro mestiere: far da mangiare e ora, trent’anni dopo il ritorno, sono ancora qui al bar di via Melissa dove hanno accolto dieci blogger scatenati e dove hanno scaldato pure me, la mia pancia e soprattutto il mio cuore. Grazie dei vostri racconti e guardate che torno appena posso, lo prometto.

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