Sabato 15 febbraio ha aperto presso la collezione Guggenheim di Venezia la mostra “Migrating objects” dedicata a oggetti d’arte come statue e maschere, provenienti da Africa, Oceania e America Latina.

Nel Novecento si è diffusa in Europa e America la moda di raccogliere e collezionare tali oggetti, negli anni Cinquanta e Sessanta anche Peggy Guggenheim ne è stata sostenitrice, grazie a lei oggi ammiriamo trentacinque “oggetti migranti” esposti a Venezia. Milano e Venezia sono state le prime città italiane dove due galleristi illuminati come Monti e Barozzi le hanno im-portate, dando loro un valore commerciale.

La mostra gode del patrocinio di UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e parte da un presupposto duplice. Da una parte essa guarda al passato per riportare gli oggetti al loro ruolo iniziale e alla funzione per la quale sono stati realizzati, dall’altra guarda al mondo di oggi per farne una metafora dei nostri tempi in cui le cose e le persone sono portate, e a volte costrette, a spostarsi o a migrare.

In pieno colonialismo artisti notissimi, quali Ernst, Giacometti, Moore, Tancredi, le avanguardie europee già presenti nella collezione permanente veneziana, diedero vita al movimento detto Africanismo.

Nei loro quadri e sculture si sono ispirati a forme artistiche lontane nello spazio e nell’utilizzo dei materiali. Lontano dalla visione eurocentrica dell’arte, lontano dall’asse Europa – Stati Uniti in cui si è divisa la vita della mecenate americana. L’Africanismo ha cambiato il significato delle opere rendendole oggetti estetici (da ammirare) più che oggetti funzionali (da utilizzare).

Nella Francia della Belle Époque Picasso ha guardato oltre i confini nazionali e si è ispirato alle colonie, come Guinea e Sudan francese, nella ricerca degli aspetti figurativi e plastici dell’arte primitiva africana. Ha trovato opere polimateriche di autori sconosciuti realizzate con diversi materiali: di origine vegetale come legno e tessuti, e di origine animale come conchiglie e piume, con pigmenti naturali aggiunti in pennellate di colore.

Oggi è stata necessaria una nuova e approfondita ricerca, durata oltre due anni, per dare un’attribuzione possibile e plausibile alle opere, da parte di un nutrito comitato scientifico composto da Christa Clarke, R. Tripp Evans, Ellen McBreen, Fanny Wonu Veys, e con Vivien Greene che ha curato il catalogo della mostra.

Gli oggetti migranti esposti alla Collezione Peggy Guggenheim, secondo un esercizio oggi molto in voga, sono messi in dialogo con i quadri e le sculture dei suddetti maestri dello scorso secolo, gli stessi che nel loro tempo hanno interpretato la diversità stilistica e ci hanno avvicinato a tali forme d’arte.

Nel corso della visita siamo trasportati verso Paesi lontani come Brasile, Perù e Messico, e nelle culture di antichi popoli. I miei preferiti sono due e si trovano in Africa: i Dogon del Mali e gli Yoruba della Nigeria, icone di luoghi che chissà se potremo visitare in futuro.
Per saperne di più:
http://www.guggenheim-venice.it/exhibitions/migrating-objects/index.html