Dopo assaggi e incontri è ora di partecipare a una degustazione seria, un percorso codificato da regole precise con dei partecipanti, possibilmente allenati alla tecnica, al linguaggio e alle regole, e un panel leader. Il mio giovedì pomeriggio a Olio Officina prevede due piacevolissime divagazioni, di tema ed area geografica. La gioia dell’assaggio si rinnova ad ogni occasione, soprattutto per un’appassionata come me che da vent’anni investe sulle degustazioni con percorsi di formazione dedicati ad alimenti e bevande, culminati nel 2004 col Master in Scienze dell’Analisi Sensoriale dell’Università Cattolica di Piacenza, con una tesi sul tè di cui vado tuttora fiera.

A Olio Officina non ci sono solo oli pregiatissimi, l’aceto balsamico tradizionale di Modena mi sorprende sempre con il fascino di un nettare prezioso che, prima di arrivare sulle nostre tavole, percorre tanta strada. Che buono! Cremonini è un’acetaia di Spilamberto relativamente nuova in quanto è attiva da meno di dieci anni, ma da subito ha investito sulla qualità tecnica e sull’immagine del prodotto, con una strategia che oggi le permette di essere presente sui mercati internazionali, dalla solida Europa alla ruggente Asia all’ondivaga America. Non solo: nuovi prodotti che riprendono antiche abitudini di consumo, come le bevande a base di aceto balsamico aromatizzato alla frutta, sono sempre più apprezzate e rappresentano un’estensione del marchio fondamentale al fine di far conoscere nel mondo il made in Italy migliore, quest’eccellenza tutta italiana che nessuno dovrebbe copiare. Speriamo.

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Giulia Gibertoni e Alberto Ferrari ci conducono, dapprima con parole e immagini, alla scoperta della storia e della filiera di quello che nei miei appunti chiamo ABT MO DOP. Quante sigle per l’aceto balsamico tradizionale di Modena!! Dal 23% al 60% di mosto cotto, con o senza invecchiamento, potrei scriverne pagine e pagine e a me non piace il primo prezzo! Infatti assaggio a fatica il prodotto commerciale. Io sono per l’aceto di vino rosso con madre, fortissimo, che faccio ancora con la vecchia madre (di famiglia) e il vino del contadino. So di essere fortunata e so di fare un prodotto per chi come me è abituato a un prodotto difficile dalla spiccata acidità.

Nulla a che vedere col ruffianissimo aceto balsamico proposto dalla grande distribuzione, che sa solo da caramello, non voglio nemmeno sentirlo nominare quando vado a mangiar fuori. Se invece parliamo del 12 anni o 25 anni la musica cambia parecchio: l’ABT in tal caso impiega fino a una generazione per esser pronto e può costare anche 100 euro per una boccetta da 100 ml disegnata da Giorgetto Giugiaro. Con un quintale d’uva otterremo, tra 25 anni, due litri di aceto balsamico tradizionale che non è più un condimento, ma va abbinato “goccia a goccia” a piatti più elaborati, a formaggi stagionati (non solo il Parmigiano Reggiano vicino di casa), a sorbetti di frutta (non solo le fragole, provatelo su fettine di kiwi fresco o su un sorbetto di kiwi!).

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A questo risultato d’eccellenza si arriva dopo lunghi passaggi e assaggi, curati dall’enologo nel “laboratorio naturale” dove si produce l’ABT. Questo laboratorio non è altro che una sequenza di botti di legno sempre più piccole dove si trasferisce il nettare scuro, man mano che ne procede la maturazione e l’invecchiamento. Come le uve utilizzate provengono da vitigni diversi (non solo Trebbiano e Lambrusco, i vitigni locali), anche per le botti si utilizzano legni diversi (rovere, castagno, ciliegio, gelso). Questo e molto altro compone “il valore dell’attesa” come si legge nel materiale istituzionale dell’azienda. Ma è anche il valore del prodotto e del suo territorio, che son sempre più curiosa di esplorare. Francamente in tali occasioni imparo tante di quelle cose che non mi sento di dilungarmi oltre. Speriamo che i produttori mi sentano, non ho mai visitato un’acetaia!

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E ora voliamo fuori dai patrii confini…

Marocco: come alzare lo sguardo e andare un po’ più lontano immaginando un riad nella medina, un tè alla menta, una cavalcata a dorso di cammello sulle dune del deserto. Ora Marocco può significare anche una degustazione di ottimo olio! Questo grazie all’impegno di questo bellissimo Paese, che a Olio Officina è stato ospite e ha presentato il polo olivicolo di Meknès unitamente a una degustazione di oli pregiati, che non mi son fatta sfuggire.

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Zeit e zeitun, olio e olive, sono tra le prime parole in arabo che ho imparato al mio primo assaggio d’Africa che, guarda caso, si svolse nella stupenda Marrakech diciotto anni fa. A parte la travagliata Algeria dove sogno da anni di fare un viaggio, e che immagino costellata di uliveti nell’entroterra della costa mediterranea, in tutti gli altri paesi ho visto gli ulivi come parte integrante del paesaggio, assieme a vigneti e colture cerealicole. Come nel nostro sud Italia per capirci. Amo pensare al Mediterraneo come a un grande mare che abbraccia tanti popoli: popoli che dovrebbero essere in pace, aiutarsi, lavorare insieme e favorire il commercio dei prodotti migliori come avvenne per secoli in passato, anche se con numerose “scaramucce” (eufemismo). E quindi ben venga uno stereotipo del Maghreb come l’olio, come ho visto nei miei viaggi e come a Olio Officina abbiamo degustato.

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Ma com’è il pluripremiato olio marocchino? Ne assaggiamo cinque, tutti della zona di Meknès dove si produce il 60% dell’olio d’oliva marocchino. Qui è attivo Agropole Olivier, un grande centro di ricerca in elaiotecnica che sostiene produttori e trasformatori nella ricerca scientifica e nel miglioramento delle tecniche lungo una filiera sempre più organizzata. Tra i progetti presentati nel video introduttivo, che mi fanno ben sperare anche per la filiera oleicola italiana, vi sono le Giornate Mediterranee dell’Olio e una Rete delle Strade dell’Olio Mediterraneo, non è bellissimo?

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Tecnicamente l’olio marocchino è perfetto, pulito, dal sentore di fruttato come nota aromatica più evidente, con retrogusto di pomodoro, frutta secca e mandorla. Picholine marocaine è la cultivar più utilizzata, a dire il vero c’è anche un produttore che ha investito nella cultivar spagnola (andalusa) picual. Ed eccellenti sono i risultati finali come sottolinea la professoressa Franca Camurati, che ci conduce nella degustazione.

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