Un buon vino si può assaggiare in vari modi, in cantina è il massimo perché è il produttore a raccontarcelo ma anche una degustazione può essere un ottimo momento per approcciare i vini di un determinato territorio, o per conoscere le declinazioni dello stesso vitigno in aree viticole diverse. Il sommelier in tal caso ci guida e ci fa apprezzare le caratteristiche sensoriali nelle varie fasi dell’assaggio. Da vent’anni partecipo a degustazioni e non mi sono ancora stancata, l’ultima mi è piaciuta tantissimo perché “ambientata” nella Sicilia che sto imparando a conoscere ed apprezzare in questi mesi. Si è svolta lo scorso venerdì 19 gennaio al Crystal Hotel di Preganziol (TV) ed è stata organizzata dalla vulcanica (!!!) Lionella Genovese che ringrazio per avermi invitato. Abbiamo assaggiato e soprattutto imparato molto nella masterclass, condotta da Andrea Da Ros grande sommelier, e dal giornalista gastronomico Fabio Guerra per la parte dedicata ai prodotti tipici siciliani.
La location è un business hotel dotato di ampi spazi e una capiente sala riunioni, ottima per i nostri scopi. Arrivo dopo le ore 20 e trovo una settantina di persone nella hall intente a conversare allegramente con un calice in mano. Il banco d’assaggio è affollato da una trentina di etichette, dove domina l’Etna rosso DOC, ma si trovano anche vini bianchi, alcuni rosati e spumanti. Fotografo i vini e le persone, c’è Lionella che intrattiene gli ospiti e ci sono due brave amiche blogger a farmi compagnia, Monica e Romena, con cui scambio due parole prima di iniziare la masterclass. I sommelier FISAR ci guidano nella scelta, io so cosa provare oltre a un paio di Etna rosso giovani. Punto decisa sul Murgo brut rosé che è una gradita conferma, l’ho assaggiato un mese fa a Palermo da Picone, storica enoteca in centro città dove il giovane Lorenzo mi ha aperto una prospettiva che non conoscevo. Sugli spumanti siculi e sulla sua famiglia, i Picone, che in cent’anni si è mossa tra le due sponde dell’oceano Atlantico con una buona permanenza a New York, dove tuttora vivono dei parenti che si occupano proprio di ristorazione. Una bella storia di migrazioni che non mi stancherò mai di ascoltare e di raccontare. Arrè gusto è l’altra enoteca palermitana dove ho passato il piacevole tempo dell’aperitivo in compagnia degli amici blogger AITB, mentre il padrone di casa Gianfranco ci prendeva per mano e per la gola con altri assaggi di vini e pregevoli abbinamenti culinari. Ora aspetto che salga con il suo maggiolino per portarlo “in viaggio tra i filari”, chissà quando arriva, io lo attendo con pazienza…
Nerello mascalese e nerello cappuccio sono i due vitigni autoctoni che compongono la DOC Etna rosso. Cappuccio (o mantellato) significa che la foglia di vite avvolge il grappolo come un mantello, non è bellissimo? Andrea Da Ros inizia la sua lezione con un excursus storico sull’evoluzione delle aree vitate in Sicilia, in altre parole dà i numeri! Nel 1800 c’erano quasi 100.000 ettari vitati in provincia di Catania, pari alla somma di Trapani più Agrigento, le altre due province siciliane a maggiore vocazione vinicola. Oggi 140 vignaioli coltivano la vite in soli 800 ettari, per una strana legge di Pareto l’80% dei produttori possiede max due ettari. Da alcuni anni qui si sono affacciati produttori più grandi che acquistano terreni e reimpiantano viti, sono siciliani e del continente: Tasca d’Almerita, Donnafugata, Angelo Gaja e Giovanni Rosso sono alcuni di questi. Diversamente dal Nero d’Avola, un vitigno che è diventato sì un simbolo della Sicilia ma anche un po’ una commodity, Etna rosso ha una forte connotazione locale che i piccoli produttori difendono nel lavoro quotidiano. Il vino si produce sui quattro versanti del vulcano in un’area relativamente ristretta ma assai varia dal punto di vista pedoclimatico. Solo per fare un esempio le precipitazioni sono elevate sui versanti a nord che ricevono e bloccano le nubi, e più scarse sui versanti a sud, circa 1.200 contro 600 mm/anno. Inoltre i vigneti si trovano ad altitudini che vanno dai 300 – 350 m ai 1.000 m slm e oltre. Alcune caratteristiche comuni sono la vendemmia tardiva nel mese di ottobre e l’escursione termica elevata tra giorno e notte (fino a venti gradi). Il terreno vulcanico, molto diverso se parliamo di colate millenarie o più recenti (mille anni scarsi per dire) può essere ciottoloso o sabbioso e ha sempre una scarsa capacità di trattenere l’acqua. Le immagini che accompagnano la presentazione mostrano vigneti soprattutto ad alberello o a spalliera, a volte terrazzati. Gli impianti sono fitti e con un buon inerbimento, almeno fino all’inizio dell’estate quando piove. Poi di solito da fine luglio non piove più, l’erba si secca e gli incendi diventano un rischio concreto. Per queste ragioni vi sono poche possibilità di automatizzare le operazioni, servono i trattori più stretti per entrare in vigneto e c’è chi ancor oggi usa zappare come una volta. I trattamenti con prodotti chimici quasi non sono necessari, c’è un grande rispetto del territorio e dell’ambiente da parte dei produttori.
Alcune vigne sono a piede franco, immuni da fillossera, altre sono innestate. I vigneti alle pendici dell’Etna esistevano oltre cent’anni fa, ma solo da una trentina d’anni, dopo un generale semiabbandono, hanno iniziato a rinascere con passi da gigante dal punto di vista vitivinicolo, grazie alla volontà di imprenditori locali tra i quali il “pioniere” Benanti. I vini in degustazione sono sei e rispecchiano le tante anime dell’Etna, non voglio descriverli in dettaglio perché ruberei il lavoro ai professionisti del vino:
- Falcone Aitho 2014
- Calcagno Arcuria 2013
- Benanti Rovittello 2012
- Biondi Cisterna Fuori 2011
- Pietradolce Archineri 2010
- Destro Sciarakè 2007.
Posso dire con certezza che sono molto diversi e complementari, mi emoziona il primo nonostante la giovane età, e l’ultimo nonostante l’età. Quasi sempre le sensazioni olfattive sono diverse da quelle gustative, il passaggio in legno è abbastanza breve da non diventare eccessivo ma per mia fortuna la maggior parte dell’affinamento avviene in acciaio. Mi sorprendono particolarmente la sapidità dovuta al terreno vulcanico, la varietà e intensità delle note floreali e speziate. Un plauso personale va ad Alberto Falcone della cantina omonima, che è salito per l’occasione sino a Preganziol e ci ha raccontato il suo lavoro, con parole semplici e le idee chiare. E con una visione di impresa partita nel 1990 che ora guarda lontano, nel tempo e nello spazio. Fino ad allora la famiglia Falcone vendeva solo vino sfuso, ma il suo sogno era di migliorare il lavoro in vigneto e completare la cantina per vedere sull’etichetta il nome del padre Giuseppe, dal 2012 questo sogno si è avverato. I tre ettari di vigneto sono impiantati per il 90% a Nerello mascalese per produrre Aitho, il vino in degustazione. Aitho è il termine antico per indicare il verbo ardere, bruciare, da cui deriva il nome del vulcano Etna. Se volete assaggiarlo accorrete, se ne producono poche migliaia di bottiglie. Devo ricordare pure i prodotti locali che hanno accompagnato la degustazione dei vini dell’Etna, a partire da quel prodotto speciale ed unico che cresce sulle pendici del vulcano, l’oro verde, il pistacchio di Bronte di Agricola Fernandez. Per continuare con i formaggi Alcantara di Castiglione di Sicilia, i salumi Moceri di Malvagna e infine l’olio Merlino di Randazzo. Tutti da varietà autoctone di capra – maiale – oliva di cui Fabio Guerra ci ha sapientemente descritto i processi produttivi e le caratteristiche sensoriali.
A fine serata penso che il nerello mascalese non abbia più segreti per me ma ovviamente non è vero, sono certa però che la mia curiosità su questo vitigno e su questo territorio sia sempre maggiore. Se solo un mese fa – a dicembre – giravo attorno all’Etna sul trenino della ferrovia circumetnea, ora devo proprio organizzarmi per tornare e fermarmi con calma a visitare queste cantine. Vignaioli aspettatemi!