Questo post dovrebbe essere propiziatorio, o almeno di buon auspicio, all’arrivo della neve sulle montagne. In tanti attendiamo la sua discesa affinché le mie Dolomiti assumano il bianco manto invernale, nel frattempo mi piace pensare com’erano alla fine della stagione 2018. Il mio ricordo più bello è la ciaspolata del marzo scorso in Val Venegia. Ero a Cavalese per assistere ai concerti di Dolomiti Ski Jazz, ospite di Eco Park Hotel Azalea. Ho approfittato delle gite proposte dalle locali guide alpine in questa stagione, gratuite per chi soggiorna in Val di Fiemme, ovvero incluse nel costo della tassa di soggiorno. Erano coordinate dalla locale APT e si tenevano lunedì mercoledì e sabato. Ottima idea non vi pare? Copritevi bene e leggete tutto.

Con la guida Giancarlo Alessandrini partiamo da Predazzo, al parcheggio del Bar Sporting Center sulla strada per il Passo Rolle, ci hanno raggiunto altri escursionisti saliti dalla pianura al mattino presto. Per ciaspolare servono: scarponi, ghette, copri pantaloni, bastoncini. E ovviamente le ciaspole! Questi bei racchettoni un tempo erano di legno e sorrido ogni volta che li vedo appesi in rifugio, pensando a come si andava “bardati” in montagna in passato. Ora è tutto più semplice e tecnologico, le ciaspole sono leggere, maneggevoli e facili da mettere. Io mi faccio sempre aiutare, sono un po’ imbranata e assai pigra. Alle dieci siamo pronti per partire: destinazione Malga Venegia, nel parco di Paneveggio e delle Pale di San Martino. Una facile escursione, adatta a tutti, con 300 metri scarsi di dislivello che si completa d’estate in un’ora o poco più.

Ma ora la prendiamo davvero con calma: suddividiamo il percorso in parti uguali di mezz’ora ciascuna più le pause, l’occasione e la scusa per fotografare e ascoltare le spiegazioni di Giancarlo che ci “guida” con infinita pazienza e competenza. Sotto un cielo grigio che appiattisce i colori del paesaggio ma esalta le nostre tute colorate, in fila indiana dietro la guida ci addentriamo in un bosco di conifere seguendo prima le tracce di chi ci ha preceduto, poi battendo la neve con le nostre ciaspole. Piano, in silenzio. Tracce da ammirare con il naso all’insù sono sugli alberi. Pini e abeti con il loro tronco marrone chiaro, quasi grigio, si distinguono dai larici spogli. Questi ultimi sono i miei alberi preferiti perché i più riconoscibili, i loro tronchi sono rugosi e la corteccia rossiccia è quasi solcata. Ora sono attaccati da chiari licheni, ora picchiettati dal becco del picchio in cerca di larve di cui nutrirsi. Fa il suo lavoro egregiamente ripulendo il legno da larve e parassiti. Tracce sono sulla neve: zampette di lepre che ho inseguito anche fuori dal tracciato, sembrano fresche ma l’animale non si fa vedere. Ciaspolare è un po’ come fare sci di fondo fuori pista, prevede movimenti lenti e naturali.

Questa è la montagna che fa per me: una spianata, un bosco, una malga e via. Mai da sola, anche se la tentazione c’è, sempre in sicurezza che con la montagna non si scherza! I cambiamenti climatici hanno reso il tempo così bizzarro e imprevedibile, che non è certo il caso di prendersi dei rischi.

Amo lo sci di fondo e le ciaspole perché fanno bene al corpo e all’ambiente:

  • è un modo per affrontare la montagna d’inverno del tutto sostenibile (dal punto di vista ambientale ed economico), i cui adepti crescono da anni parallelamente alle vendite dei materiali tecnici.
  • fa bene a tutto il corpo e credo non abbia o quasi controindicazioni, sciare e ciaspolare è un poco come nuotare, si muovono braccia e gambe in armonia e il corpo ne trae vantaggio, da capo a piedi. Grazie alle pendenze leggere ci si muove in sicurezza e le eventuali cadute sono “morbide”.
  • si svolge in silenzio al cospetto della natura, lontani dalla pazza folla di sciatori da discesa o su tavole che si rincorrono sulle piste, presi dalla velocità e dall’adrenalina, questo caos non fa per me, mi mette paura, già da piccola ero una fifona…

E poi c’è un fatto spirituale che mi ha avvicinato a queste discipline, ma ne parlerò alla fine.

Saltelliamo tra una sponda e l’altra di un torrentello sommerso dalla neve, semi invisibile, aiutandoci con i bastoncini. Quando siamo sulla strada battuta incrociamo altre persone a piedi e sugli sci da fondo, ci sono ben 150 i chilometri di piste di fondo in Val di Fiemme! Sorridiamo, salutiamo. Ben presto inizia a nevicare, una neve fina fina che si attacca sul terreno e sui nostri corpi. Il corpo in movimento si scalda subito, se non nevicasse toglierei il piumino. Salutiamo la freccia per Malga Venegia e proseguiamo fino a Malga Venegiota, su una leggera salita. La prima è un ottimo punto di ristoro, si riconosce da lontano per il denso fumo che esce dal comignolo e per il delizioso profumo di cibo che si diffonde nell’aria. La seconda malga è chiusa e quando arriviamo su è tutta per noi, da fotografare con le sue pietre scure che contrastano con il biancore circostante. Girandoci intorno la immagino avvolta nel suo prato verde d’estate, con le mucche al pascolo e le montagne tutto intorno. Tutta un’altra cosa, oggi non si vedono montagne ma solo un orizzonte grigio e ovattato, proprio per l’assenza di panorami a lunga distanza guardiamo con occhi nuovi, immersi in un’esperienza sensoriale totalizzante.

Queste pratiche dolci permettono di ascoltare il proprio corpo, modulare il respiro, controllare i movimenti e soppesare le fatiche; per poi provare gioia e consapevolezza di sé, una volta giunti all’obiettivo. Ho imparato che camminare in salita, con una meta da raggiungere è un’esperienza mistica paragonabile alla meditazione. Questo pensiero mi rende felice e mi fa sentire meno la stanchezza, ma alla fine apprezzo la pausa pranzo. Volentieri mi rifugio al calduccio della Malga Venegia, che raggiungiamo dopo un’altra mezz’ora: le ciaspole aiutano tanto a salire ma non accelerano per nulla la discesa. Perché sempre di camminare si tratta, appoggiando bene la pianta del piede e procedendo con la spinta dei bastoncini. In malga c’è un menu invitante ma faccio la brava e consumo un pasto frugale: zuppa, patate e birra. Riposo e chiacchiero con i vecchi e nuovi amici che hanno condiviso con me questa bella mattinata, fra l’altro quassù il telefono non funziona ed è un ottimo detox.

Poi nuovamente passiamo dal calduccio all’interno, all’aria fresca che c’è fuori, nell’ultima lenta discesa per rientrare a Predazzo. Sono in pace, sto bene, è come se avessi fatto una lunga nuotata. Circondata dall’aria e dalla neve fresca invece che immersa in acqua. C’è qualcosa di primordiale nel mio rapporto con la montagna, qualcosa di spirituale che mi riporta all’infanzia e cerco di riprodurre quando posso. Perché non sono cambiata da allora. Mentre nel bosco qualcosa è cambiato. Alla fine di ottobre una terribile ondata di maltempo si è riversata su molte vallate dolomitiche, tra cui proprio la Val di Fiemme. Una grande alluvione, con raffiche di vento a quasi 200 km l’ora, ha sferzato montagne e boschi, abbattendo alcuni milioni di alberi. Ora giacciono a terra, spezzati o piegati, i miei amati larici e altri alberi che non avevo ancora nominato: gli abeti di risonanza. Si tratta di un patrimonio unico e una ricchezza enorme per queste vallate, da tutti i punti di vista: paesaggistico ed economico. Se il bosco che ho attraversato con le ciaspole dieci mesi fa è venuto giù è terribile. Ma andrò a vedere appena possibile, in generale in montagna si possono svolgere tante attività, e la Val di Fiemme è sempre in fermento. Per fortuna. Aspetto solo un po’ di neve.

Link e info utili

Giancarlo Alessandrini guida:

https://www.guidealpinevaldifiemme.it/

https://www.ecoparkhotelazalea.it/

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