Cinque Paesi, quattro valute, tre capitali, due parchi nazionali e… una multa. Dare i numeri dopo un viaggio per me è normale, ma Explorebalkans mi ha stregata oltre ogni immaginazione tanto che stiamo già pensando a ripartire verso est per proseguire, io e le mie fidate bloggamiche Simonetta e Cristina, l’esplorazione della ex Yugoslavia. Che ora si chiama Slovenia, Croazia, Bosnia, Serbia, dove siamo state noi. Ma anche Macedonia, Kosovo, Montenegro. Dove io trent’anni fa scendevo coi i miei in roulotte, giù giù fino al lago di Scutari al confine con l’Albania, un altro paese da visitare, un nuovo motivo per (ri)partire. Perché un viaggiatore prende l’auto e si mette per strada con la mappa come una volta (ebbene si, niente roaming), una borsa di vestiti e una cassa d’acqua nel bagagliaio, mele e taralli nell’abitacolo.

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Mi sono sentita tanto viaggiatrice nei Balcani e son tornata con un litro di adrenalina in corpo: da Belgrado a Venezia ci sono 800 chilometri, anche se fuori pioveva e a tratti nevischiava ho guidato serenamente per quasi 12 ore.

Dare i numeri significa ricordare che abbiamo percorso 2000 chilometri in totale su strade di ogni tipo: con vista sul mare adriatico e su montagne innevate, strade urbane di notte in cerca della micro strada dove si trovava il nostro ostello (ma in pieno centro), costeggiando laghi d’origine glaciale e un fiume grandissimo come il Danubio, per l’occasione ben lontano dal bel blu musicato da Johann Strauss.

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Abbiamo visto paesi fantasma con case abbandonate, scoperchiate, crivellate da colpi di proiettile e contato decine di piccoli cimiteri che come grappoli o perline nere si attaccano a paesini poco abitati per tenersi vicino le anime dei morti. Morti in guerra che ora stanno in pace, sopravvissuti che in pace vorrebbero vivere ma si stanno ancora leccando ferite aperte di cui ci parlano apertamente, e a volte cinicamente. Come per condividere con noi l’immenso dolore che vent’anni dopo ancora si portano addosso, che mi hanno trasmesso e che proverò a raccontare. Per esorcizzare e soprattutto per non dimenticare come ho scritto un mese fa in questo post che chiudeva il mio precedente passaggio in Bosnia, nel 2013, e mi preparava a questo viaggio. Ho tanta voglia di ripartire. E non potrebbe essere altrimenti.

Ci siamo lasciate dietro mille posti da vedere interessanti “sulla carta”: parchi nazionali (Tara), cittadine (Jaice), monasteri che a decine si ergono come simbolo di antica devozione (quelli rimasti in piedi dopo la guerra) e un altro simbolo della guerra (Srebrenica) di cui non abbiamo visto il cartello stradale per poco, ma di cui ci hanno parlato tanto.

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In cinque giorni però proprio non potevamo vedere altro, se ne avessimo avuti due in più avremmo esplorato i Balcani un po’ più in profondità invece di fare solo il solletico sulla pelle a questa terra bella e tormentata. Perché le strade non sono quasi mai brutte, ma strette e tortuose sì, e con un mezzo pesante o lento davanti non si può sorpassare. Perché costellate di paesini che, ancorché semideserti, hanno 30 – 40 – 50 km/h come limite di velocità, non è il caso di superarlo e spessissimo c’è la polizia a controllare. Non ci hanno mai fermate ma a Belgrado abbiamo preso una multa per divieto di sosta, divertente no? Era l’ultimo giorno così dovrete attendere che ne parli, in fondo al diario. A meno che ci pensino Cristina o Simonetta prima di me, ma spero di no. Torno presto a scrivere, lo prometto, questa volta ne ho proprio bisogno.

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Ringrazio infine le mie bloggamiche, che se non ci fossero bisognerebbe inventarle, gli enti e organizzazioni che ci hanno supportato e ospitato per questa prima esplorazione dei Balcani: Ente del turismo del Parco di Plitvice, Hostelsclub, Serbia Travel. Grazie e arrivederci alla prossima esplorazione, perché il viaggio continua.

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