Una tempesta spaventosa si è abbattuta sulle mie montagne quasi un anno fa, con pioggia e vento fortissimi che hanno sferzato un’ampia fascia di territorio fra Trentino, Veneto e Friuli. Dalla sera del 29 ottobre, lunedì, alcuni scenari dolomitici sono cambiati per sempre, accanto alle perdite in termini di vite umane vi sono state perdite incalcolabili per l’ambiente. Quella sera sono caduti quasi 800 millimetri di pioggia in poche ore, quasi il quantitativo di un anno. Le statistiche su questo cataclisma naturale sono impietose ma non voglio dare i numeri qui. Desidero mostrarvi con parole e immagini lo scenario spettrale che si è aperto dopo la tempesta.

Milioni di alberi sono stati sradicati o spezzati dalla furia del vento a oltre 200 chilometri l’ora, l’alluvione ha fatto straripare fiumi e torrenti, il terreno è franato in più punti. Per giorni e giorni gli operatori del soccorso, tra cui molti volontari, hanno affrontato un lavoro immane. Quest’opera non è ancora finita.

Dare un appellativo ai cataclismi naturali è molto in voga. Vaia è il nome che gli hanno dato i media, questo nome femminile da allora evoca la distruzione e i danni conseguenti: Tempesta Vaia.

Durante la prima edizione della Fiera e Festival delle Foreste di Longarone, nel settembre scorso, ho partecipato a un presstour in Val Visdende in provincia di Belluno: questa valle nascosta, relativamente fuori mano, è stata particolarmente colpita e danneggiata. Mi sono unita a un piccolo gruppo di giornalisti per un pomeriggio ad alta intensità emotiva.

Ci hanno accompagnato le autorità locali e le guardie forestali, è stato toccante sentire i loro racconti dalla viva voce di chi c’era, in tutto il corso degli eventi. Queste persone sono sempre state in prima linea, sia nella gestione dell’emergenza nei giorni successivi ai tragici fatti, ma anche nelle operazioni quotidiane. Tanti lavori sono infatti necessari ancora oggi, a un anno di distanza, per pulire strade e boschi dagli alberi danneggiati. Questo è un lavoro immenso ed è svolto con perizia e dedizione assieme alle comunità locali, in silenzio e lontano dai riflettori, nello stile schivo e schietto della gente di montagna. Vedere con loro i luoghi colpiti è stato impressionante.

La Val Visdende si raggiunge da Belluno procedendo verso nord sulla strada statale Alemagna, passando per Longarone, Pieve di Cadore, Auronzo. Ha due comuni principali, Santo Stefano e San Pietro di Cadore, oltrepassati i quali entriamo in Comelico e da Sappada siamo in Friuli Venezia Giulia. Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi e Parco Nazionale delle Dolomiti Friulane si trovano vicini sulla carta geografica, a tutela della biodiversità dei regni vegetale e animale e di un paesaggio unico. Su tutto dominano le “mie montagne”, le Dolomiti che da dieci anni si possono fregiare di un titolo più che ambito: patrimonio UNESCO.

Negli ultimi mesi altri ambiti riconoscimenti hanno messo in luce le Dolomiti in un ampio sistema che coinvolge, assieme al Veneto, regioni limitrofe come Lombardia e Trentino Alto Adige. Olimpiadi 2026 sono una parola e un numero che aleggia sicuramente come una grande prospettiva di promozione a livello mondiale, in un sistema che dall’assegnazione ha subito messo attorno a un tavolo operatori economici, abitanti e ospiti. Insomma tutti i soggetti che gravitano attorno alle montagne e oltre. Seguirò con interesse il progredire dei lavori e spero che con l’occasione, in questi sette anni che ci separano dall’evento, si mettano a punto strategie utili per tutti, infrastrutture e servizi sostenibili per vivere la montagna, 365 giorni all’anno.

La Val Visdende si mostra come un’ampia vallata scarsamente popolata, circondata da boschi con malghe e alpeggi sovrastati da alte montagne. Le attività agro – silvopastorali degli abitanti (un tempo qui era diffusa la coltivazione delle patate per esempio) si sono spostate negli anni più recenti all’accoglienza. La sorprendente varietà di paesaggi si presta a diverse attività all’aria aperta, estive e invernali. I prati e pascoli sono stati via via ripresi dal bosco che ora si estende fin quasi alla strada principale.

A bordo del fuoristrada percorriamo uno sterrato stretto, a tratti nel bosco, a tratti su uno scenario più aperto da cui si apre uno scenario impressionante, non ci sono parole per descriverlo. Quando mi chiedono cosa ho visto rilancio con questa domanda: avete presente il dopo terremoto? Ecco una cosa simile, ma senza case e senza persone, qui c’è solo la natura ferita. Piante e animali che ora cercano una nuova vita, per nulla facile.

Le vette alpine di fronte a noi formano una lunga catena di picchi seghettati, che cambiano colore ora dopo ora. Brillanti finché il sole splende, più scuri nel tardo pomeriggio quando arrivano nubi minacciose a incupire il cielo e l’intero paesaggio.

Sotto le montagne appaiono infatti ampi lembi di bosco scorticati, migliaia di ceppi sono stati strappati al terreno ma non in modo omogeneo, piuttosto a fasce oblique, strette o larghe. Come se un aspirapolvere gigantesco fosse sceso dal cielo e avesse deciso di spazzare via in modo selettivo alcune fasce di terra, lasciandone altre intatte. Sembra di essere in un gigantesco cimitero.

Un anno dopo la tempesta Vaia circa metà degli alberi è stata portata via, squadre di operatori specializzati continuano tuttora a lavorare alacremente finché tutto sarà pulito. La macchina dei lavori si fermerà solo con la caduta della neve, nei mesi più freddi dell’anno, e per il minimo tempo necessario.

Arriviamo a Malga Chivion a 1745 metri slm, di norma la si raggiunge a piedi nel giro delle malghe che comprende la più famosa e attrezzata Malga Antola. Siamo alle pendici delle Alpi Carniche al confine tra Veneto e Friuli: qui vicino ci sono le sorgenti del fiume Piave, sul monte Peralba, come indicano i cartelli.

Gli ultimi cartelli sono stati apposti sugli alberi, a indicare le limitazioni al passaggio a seguito della tempesta. Vi sono due edifici: una bella stalla potrebbe alloggiare una quarantina di vacche, accanto alla grande malga.  Questa ha purtroppo un aspetto trascurato ma è stata costruita subito dopo la guerra, forse ha semplicemente bisogno di manutenzione o ristrutturazione, sarebbe bellissimo alloggiare su questa spianata. Guardate che vista si gode da quassù, luci e ombre di un pomeriggio di fine estate.

L’ampio panorama circostante mostra tutto il bello della Val Visdende ma evidenzia anche le odierne ferite da cui oggi si deve ripartire, affinché la montagna affronti una nuova vita e torni all’antico splendore.

Ferite da rimarginare sono sul territorio ora ignudo e indifeso, che appena sarà liberato e ripulito dovrà e potrà ritornare a vivere con nuove piante… o piante nuove? Ci vorranno decenni per rivedere quassù gli alberi ad alto fusto svettare nel cielo. Abeti e conifere ne costituiscono il paesaggio naturale, potranno crescere da sole ma qualcuno invoca invece la mano dell’uomo per aiutare un rimboschimento, non necessariamente più veloce ma solo controllato e gestito. Che fare? Come sarà possibile la riforestazione? Sarà meglio rimboschire o dare spazio alle coltivazioni? Ci sono due possibili scenari, in uno c’è molto la mano dell’uomo, nell’altro si vuol lasciare mano libera alla natura. Io da visitatrice “gitante della domenica” so quale preferisco, e voi??? In realtà non ho una risposta univoca.

La vera domanda è più ampia: quale futuro può avere la montagna? Lo spopolamento delle vallate alpine, iniziato nell’Ottocento, ha avuto fasi alterne. La tempesta Vaia potrebbe segnare un’inversione di rotta, paradossalmente; ce l’auspichiamo tutti per riportare le persone in questa e in altre zone montuose dove, diciamocelo, la vita non è facile. Una grande sfida li attende in futuro. Opere idrauliche, una nuova rete elettrica, strade sicure. Se i governanti sapranno investire in modo oculato, intercettando nuove possibilità di sviluppo sostenibile, creando le infrastrutture necessarie a far muovere i residenti permanenti e i cittadini temporanei, creeranno nuovi posti di lavoro e opportunità per tutti. Avremo fatto bingo, vinceremo tutti.

Ferite da rimarginare sono quelle che restano dentro le persone colpite da una tragedia inevitabile, dovuta a una combinazione straordinaria di fattori meteorologici, sconosciuta e nuova persino agli addetti ai lavori. Per fortuna l’allerta diramata domenica 28 ottobre, il giorno prima, è stata accolta in perfetta sinergia tra gli enti pubblici preposti, che provvidenzialmente hanno fatto chiudere le scuole ed efficacemente avvisato le famiglie. Ma anche aziende e uffici lunedì mattina, il famigerato 29 ottobre, non hanno aperto i battenti.

Gli amministratori raccontano lo scenario surreale prima della tempesta, con strade e paesi deserti, quasi nessuno in giro. Per fortuna era bassa stagione e non c’erano villeggianti: un evento simile in alta stagione (pensiamo solo se fosse accaduto in agosto) poteva avere conseguenze ben peggiori, poteva essere una strage.

Le tecnologie hanno aiutato a limitare i danni, quanto meno alle persone, sia nella previsione del maltempo sia nella gestione dell’emergenza. Grazie alla comunicazione in tempo reale la macchina dei soccorsi si è messa subito in movimento, tramite la messaggistica istantanea e i social network sono state veicolate informazioni utili a muoversi nei modi, nei tempi e nella direzione giusta, senza creare intralcio ai soccorritori né sovrapposizioni o – peggio – false notizie. Una sinergia perfetta perdurata tutto il mese di novembre, tanto che i comprensori sciistici hanno potuto aprire regolarmente la stagione all’inizio di dicembre. Incredibile no??

All’inizio i lavori procedevano senza energia elettrica: molti comuni e frazioni montane erano isolate, senza contatti con l’esterno. In realtà mancava tutto: gas, luce e acqua. Innanzi tutto è stato necessario procurarsi dei generatori, arrivati anche da generose donazioni provenienti sia da turisti affezionati a queste valli, sia dai bellunesi emigrati. Con questo si è potuto intervenire per riparare le strade, mettere a posto le case danneggiate e ripartire. Le persone intervistate dai media nei primi giorni, pur sgomente, dicevano sempre “La vita continua”; una frase che ben descrive il loro carattere forte, per nulla incline a scoraggiarsi o arrendersi. Forse un po’ dure, testarde, come il legno che si ricava dagli alberi (questo è un complimento), ma pieni di linfa vitale e di risorse, come gli alberi e il legno.

Il legno sarebbe una grande risorsa nelle aree boschive di montagna, ma la quantità enorme resa disponibile in breve tempo, dopo la tempesta, ha fatto crollare i prezzi a una minima frazione del normale valore di mercato. Rimuovere le piante abbattute è stato necessario subito dopo il 29 ottobre. Non si poteva fare diversamente in quanto ogni tronco lasciato a terra dà spazio al punteruolo e al tarlo, parassiti dannosi o letali. Possono essere intaccati anche gli alberi sani che sono rimasti in piedi, e solo togliendo quelli caduti si può prevenire la contaminazione. Per fortuna il legno ha mille anime, è una risorsa come essere vivente albero, e poi come materiale. Per vedere i tanti possibili utilizzi del legno dobbiamo andare in fiera. Ne ho parlato in questo post sulla Fiera e Festival delle Foreste di Longarone, prima edizione.

Desidero ringraziare gli organizzatori della manifestazione e i giornalisti conosciuti durante l’evento. Ma soprattutto saluto e ringrazio i nostri accompagnatori, a cominciare da Massimo Bortoluzzi consigliere provinciale con delega alla protezione Civile, il nostro cicerone.

Silvano Eicher Clere ci ha descritto, sulla base della sua esperienza quasi trentennale, il sistema amministrativo centenario che governa la Val Visdende basato sulle “Regole”, le stesse che sono presenti in numero di sei anche a Cortina. A San Pietro di Cadore ce ne sono solo quattro (San Pietro, Costalta, Presenaio, Valle) e governano i beni che passano di padre in figlio, patrimonio inalienabile e indivisibile.

Marco Cesco Fabbro guardia boschiva vive la foresta come lavoro e come passione, ora che sta aprendo la caccia sarà impegnato a controllare che l’attività venatoria rispetti le regole, anzi la legge. Ascolto volentieri gli addetti ai lavori ma mi chiedo sempre che senso abbia negli anni Duemila andare a caccia.

Per essere la prima edizione direi che la Fiera e Festival delle Foreste è iniziata nel migliore dei modi. Spero quindi di rivedere il prossimo anno un nuovo festival con le ultime novità. E di rivedere la Val Visdende, da percorrere in sicurezza su strade e sentieri, magari a piedi, in un prossimo futuro.

Per saperne di più:

http://www.valvisdende.it/

https://www.valcomelicodolomiti.it/

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