7 gennaio 2013 Gorges du Dades – Ouarzazate – Ait Benaddou – Marrakech
Per arrivare a Marrakech dobbiamo attraversare l’Atlante scavalcando passi di montagna su strade strette e tortuose, stiamo sul pulmino dalle 8 alle 18 in una tappa di trasferimento lunga e faticosa (ben 400 km ) per noi e soprattutto per il ns bravissimo autista Mahdi. Impieghiamo ben 10h e facciamo poco più delle soste fisiologiche, ma che bellissimo paese è il Marocco! C’ero stata sedici anni fa in un breve soggiorno stanziale proprio a Marrakech, ora ho colto con piacere la ghiotta occasione di tornarci e ne sono molto soddisfatta. Di prima mattina le gole del Dades sono stupende e sfoggiano nuove tinte di rosso acceso. Rosso è decisamente il colore dominante del Marocco: il colore della terra, di tanti edifici e ornamenti, tappeti, cuscini, delle rocce illuminate dal sole, della sabbia del deserto. Ma sopra di noi una graditissima sorpresa è il blu del cielo, senza nuvole per tutta la settimana del nostro soggiorno. Facciamo foto e passiamo accanto alle coltivazioni della valle delle rose, ripromettendoci di tornare a primavera durante la fioritura.
A Ouarzazate, la Hollywood marocchina, ci fermiamo solo a bere un caffè. La lunga lista di pellicole girate qui ci fa immaginare la vita e il business che ruotano attorno alle produzioni cinematografiche, come recitano i cartelloni pubblicitari. I compagni di viaggio mi fanno notare che solo qui si reclamizza con sfarzo un prodotto di rilevanza internazionale, in questo caso il cinema, come una ricchezza che possa richiamare l’attenzione degli operatori e dei “clienti”, altrimenti lo spicchio del Marocco che visitiamo è ancora felicemente privo di immagini invasive per l’ambiente e fuorvianti per i passanti. Questa purezza, assieme allo scarso traffico pesante e all’economia che qui sembra soprattutto di sussistenza dignitosa, contrasta con piccoli e grandi lavori in corso, con gli sforzi per migliorare la pulizia delle strade, insomma con un’evoluzione positiva dello stile di vita di questo popolo bellissimo e ospitale. I marocchini di oggi hanno nel sangue i tanti contributi dei popoli africani, arabi, berberi che vi hanno messo piede, spontaneamente o costretti dai flussi delle invasioni barbariche o delle rotte degli schiavi. E questa bella mescolanza si ritrova nei lineamenti dei loro volti, nelle architetture di città e villaggi, nella cucina semplice e ricca al tempo stesso che per noi turisti significa: couscous, tajine, kofta e spiedini di carne in tutte le maniere.
In tarda mattinata facciamo tappa a un antico ksar piccolo ma molto bello in cima a una montagna, in parte difeso dal corso del fiume e in parte dalle fortificazioni: Ait Benaddou . Teniamo la destra per prendere l’ingresso tradizionale, il guado del fiume dove ci facciamo molte foto, mentre a sinistra è stato costruito un pratico, ma poco poetico, ponte che utilizzeremo per uscire. Ci guida un anziano che in varie lingue descrive la storia del villaggio e fa ancora la lista dei film girati qui. Saliamo lunghe gradinate sino alla torre – granaio sulla sommità, con un bellissimo panorama sull’Alto e Medio Atlante completamente innevati. Oggi vivono qui solo poche famiglie perché quasi tutti si sono trasferiti al nuovo villaggio, pullulano così i negozietti di paccottiglia made in China che io odio, e tanti edifici sono in restauro. C’è il rischio concreto che alla prossima visita la vediamo trasformata in una sequenza di ristorantini e alloggi per turisti. A proposito, sarà che oggi è lunedì ma sembra che tutti i turisti siano tornati a casa a lavorare, non abbiamo mai grandi folle intorno a noi e anche qui solo alla fine vediamo altri visitatori, molti dei quali italiani.
Ora tocca a noi attraversare l’Atlante per ridiscendere a valle sino a Marrakech . E un’altra volta cambia il panorama che vediamo dai finestrini del bus, salendo per una stretta strada di montagna dove l’ambiente si fa decisamente alpino, prima con boschi di conifere poi con prati dove le pecore brucano l’erba (a gennaio). Al villaggio dove mangiamo al volo i soliti spiedini con patatine, l’autista Mahdi mi vuole parlare, fa delle domande evasive e capisco che mi vuole raccontare qualcosa. Come va il turismo in Egitto? Mi chiede. Pure io gli rispondo partendo dalla nuova situazione politica che vi si è creata dalla caduta di Mubarak, con la conseguenza negativa per noi: pochissimi turisti si fidano ancora a tornare nella terra dei Faraoni. Sai, prosegue lui, cos’è successo in Marocco subito dopo la rivoluzione egiziana? Così, aperto questo calderone, mi descrive l’attentato con morti e feriti che sventrò un bar in piazza Jemaa el Fnaa e sconvolse Marrakech, proprio nella primavera del 2011 quando il Marocco era rimasto il solo paese nordafricano visitabile per turismo. Un suo collega quel giorno faceva da guida a una coppia di europei, li portò in piazza a bere un caffè in uno dei tanti bar con terrazza panoramica, proprio quello prescelto per l’attentato. Poiché uno dei due aveva dimenticato le sigarette nell’auto, la guida si offrì di andare a prenderle ma ebbe appena il tempo di allontanarsi e sentire lo scoppio, al suo ritorno non rimaneva più nulla del bar, e purtroppo nemmeno dei suoi clienti. Non si è mai capito cosa sia venuto in mente a questo attentatore solitario, non fiancheggiato da Al Qaeda o altre organizzazioni. Si sa solo che alla sua cattura i marocchini ne chiesero la testa (in Marocco purtroppo vige ancora la pena capitale) ma invece di ucciderlo, il re decise di perpetrare contro di lui “una pena esemplare” che consiste in una lenta tortura con sofferenze di ogni tipo, sino a portarlo “quasi alla morte” per poi curarlo, rimetterlo sotto tortura e così via. Non mi capacito ancora della storia che mi è stata raccontata, so solo che ci ho pensato tutto il pomeriggio e anche durante la visita di Marrakech.
Tizin Tichka a 2.260 m slm è il punto più alto che tocchiamo, un passo di montagna con chiazze di neve oltre il quale nuovi tornanti ci fanno scendere rapidamente a valle. Un camion ribaltato ci spaventa ma non ci fermiamo, nessun parapetto o guard rail protegge il bordo strada e sotto di noi la montagna scende a precipizio. Ancora neve, boschi, prati poi si vede Marrakech in lontananza, arriviamo relativamente presto e a una comoda piazza, all’ingresso della medina , velocemente svuotiamo il pulmino: domani gireremo a piedi e vedremo la città “By Night”, proprio per salutarla, a bordo del mezzo.
Il Riad L’Arabesque è vicinissimo a piazza Jemaa el Fnaa , il mio primo e unico cruccio quando cerco un alloggio in città è che sia IN CENTRO, maiuscolo, proprio così. Che riad carino, piccolo e curato! Ci arriviamo in un attimo ma poi impieghiamo molto tempo per dare le priorità: alla distribuzione delle stanze, allo shopping, all’hammam, alla cena… Liberitutti!! Ci diamo un appuntamento per cenare insieme dopo un paio d’ore, che mi sono necessarie per parlare al corrispondente e cercare la soluzione ottimale che ci consenta di arrivare all’aeroporto di Casablanca in due gruppi (per MI-RM) il giorno della partenza. Mi collego col mondo, sensazione strana quando sono in viaggio ma (devo ammetterlo) che comodità! Poi ricominciamo a discutere per la cena, c’è chi vorrebbe fare due passi mangiare qui nel centro e poi passeggiare, chi ha già la fregola della città (e li capisco) e preferirebbe cercare subito un moderno lounge bar con cucina e musica dal vivo, manco fossimo a Milano. Ma le 10h di viaggio ci hanno stancato abbastanza da decidere per un comodo ristorantino dietro la piazza, dove arriviamo alle 21,30 e ci fanno un po’ di fretta per scegliere le pietanze ma ci danno una buona cena. Non c’è molta gente in giro, i negozi hanno chiuso e dopo cena rientriamo al riad, facciamo due chiacchiere nel gineceo dove dormiamo in cinque e poi tutti a dormire.

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