Diario giornaliero del viaggio in Bengala e Sikkim, dicembre 2014 – gennaio 2015
Martedì 06 gennaio 2015

Oggi faremo il pieno di animali più o meno graditi e vi racconterò un poco il mio rapporto con animali selvatici e non. Prima delle otto, caricati armi e bagagli, siamo al lodge da dove partono i safari.
Appena scendiamo dalla jeep ci passa davanti un grosso pitone, tenuto fra le mani sicure di un ragazzo a piedi nudi che lo porta via dallo spiazzo, verso la foresta, per mollarlo.
Io trasalisco ora e pure dopo, quando un secondo serpente viene catturato con le stesse modalità.


Ma non c’è solo questo animale che mi spaventa terribilmente, anche nel nostro ecolodge abbiamo avuto una visita poco gradita. Al solito orario prima dell’alba mi sono svegliata per andare in bagno.
Subito dopo ho sentito un rumore di carta stropicciata nella camera, ho acceso la luce ma non ho visto nulla.
Poi in bagno il coperchio del water è rovinato a terra, a questo punto è evidente che abbiamo avuto visite.
Che schifo immenso! Abbiamo trovato delle cacche di topo in stanza e il cestino, con le carte e degli avanzi di cibo, sottosopra. Sul pavimento del bagno c’è un buco da cui l’animale dev’essere entrato e uscito.
Io sono un po’ traumatizzata anche se non è la prima volta che mi accadono simili episodi.
Questo sarà il mio terzo e ultimo elephant safari, dopo l’esperienza in Sri Lanka e ancora in India ho imparato che non si fa. Ne sono dispiaciuta, non dovevo. Ma davvero fino a questo viaggio non avevo calcolato le sofferenze degli elefanti utilizzati come attrazione turistica. Pensavo semplicemente che se si può fare si fa. Ora so che non si deve.


Saliamo in quattro sulla groppa dell’elefante, il safari si svolge nel fitto della foresta dove lui si infila fra l’erba e i rami degli alberi. Noi fra una foto e l’altra abbassiamo la testa e ci muoviamo per schivare gli intralci alla nostra altezza. Cosa vediamo di bello?
Ben tre rinoceronti neri, imponenti nel loro portamento, ma scappano appena ci vedono.
Alcuni sambar tra cui un cucciolo, uccelli come il famoso bucero, simbolo di questa parte di India tanto che in Nagaland il festival più famoso è dedicato proprio a lui: Hornbill festival.
Ma non c’è traccia di elefanti selvatici, e nemmeno delle tigri. Attraversiamo corsi d’acqua, laghetti, paludi.
Il safari dura un’ora ed è indubbiamente un bel giro, in mezzo alla vegetazione tropicale: alberi ad alto fusto, sottobosco, felci enormi, muschi. Però col senno di poi mi sorgono diversi dubbi.
Oltre agli aspetti etici che scopro solo dopo, con questa avventura perdiamo la possibilità di fermarci in uno o due siti culturali importanti, sulla via di Kolkata. E se dovessi rifare l’itinerario verrei quassù solo con più tempo a disposizione, facendo il safari sulla jeep. In West Bengala c’è tanto da vedere che 10 – 15 giorni ci stanno a pennello e alla fine c’è pure il tempo di rilassarsi alle Sunderbans.
Torniamo in auto verso la civiltà rifacendo lo sterrato nella foresta, ora visibile alla luce del giorno. I cellulari ci danno segnali di vita, anche troppa, segnalandoci non più la rete indiana ma il roaming verso altre reti.
Questa zona dell’india orientale è decisamente un’area di confine, incuneata fra diversi stati e paesi vicini. C’è il Bihar, uno stato indiano fra i più poveri e meno turistici, e ben quattro paesi confinanti. Ho già parlato di Nepal, Bhutan e Cina (Tibet), un confine ancora più vicino è con il Bangladesh, arriviamo a meno di 10 km di distanza.
Al Rescue Centre immaginiamo chissà che clinica veterinaria per la riabilitazione di animali feriti, ma troviamo solo due gabbie grandissime – dicono che ciascuna misuri un km quadrato.


In una c’è una tigre e 4 – 5 leopardi nell’altra. Provengono da zoo locali o da incidenti tipo attacchi a persone.
Gli agricoltori e le raccoglitrici di tè sono spesso vittime degli animali durante il lavoro nei campi.
Visto che ne scrivevo nel diario dei giorni scorsi, parlo un attimo delle donne indiane impegnate a raccogliere il tè, un lavoro durissimo e riconosciuto pochissimo. Nel 2015 prendono 100 RS al giorno di salario, equivalente a 1,30 euro. Con beni e servizi accessori inclusi: alimenti come il riso, la scuola per i figli. Non è scandaloso? Dove sono i sindacati? Chi proteggono? Nel sud dell’India c’è più rispetto per i lavoratori, più organizzazione, più diritti. Qui invece siamo molto indietro.
In West Bengala vediamo spesso dei piccoli adesivi attaccati accanto alla targa delle auto, dov’è scritto: Io sto con le raccoglitrici di tè. Così vengo a sapere della situazione salariale, ingiusta, sbagliata, ma non ho una soluzione.
L’unica soluzione sarebbe non comprare più il tè, ma neanche caffè, cacao, frutta tropicale a meno di sapere con certezza che siano raccolti e trasformati nel rispetto dell’ambiente e delle persone. Non basta sapere da dove vengono! Ma torniamo al viaggio…
Mi faccio un sacco di domande vedendo queste bestie bellissime ingabbiate. Mi chiedo se ora queste tigri e leopardi sono davvero in salvo, se sono fortunate rispetto ad altri animali (come gli elefanti di cui sopra), o se invece fanno una vita infernale. Mi chiedo chi siano le vittime e chi i carnefici.
Chi abbia la precedenza e il diritto a coltivare la terra, a disboscare, a trasformare una landa selvaggia per metterla a disposizione della specie umana a scapito delle altre specie. Non ho risposte facili, non ce ne sono.


Verso Madarihat cerchiamo un posto per fare colazione, troviamo quasi solo tè e caffè ma facciamo felici incontri con indiani curiosi e chiacchieroni. Ci mettiamo in strada, abbiamo davanti una giornata di transfer infinita, ben otto ore per arrivare a Rajganj meno mezz’ora di pausa pranzo in autogrill.
Ormai la musica è cambiata e le strade sono pienamente tornate allo standard indiano: trafficatissime, in pessimo stato, disordine e anarchia. Tutti i centri abitati si attraversano a passo d’uomo. Bentornati in India!
Stavolta la strada che passa per Siliguri non ha tornanti né foreste, è pianeggiante e coltivata, anche con i miei amati cespugli di tè che poi non vedremo più.
C’è una foschia che aumenta la sensazione di caldo umido ma poi, la sera, si dissolve e l’aria si rinfresca.
Santu è sempre un ottimo autista, ma qui deve tirare fuori abilità diverse per districarsi fra mille mezzi e fra i pericoli di investimento, o di uno scontro frontale a ogni sorpasso. Dopo la jeep ribaltata in un burrone che avevamo visto in Sikkim, qui se possibile assistiamo a una scena peggiore, un investimento appena accaduto. Un camion ha stretto due bici a bordo strada, un ciclista ha perso il controllo e ci è finito sotto.
Un uomo privo di sensi ha il ventre insanguinato, un altro uomo lo regge gridando aiuto. Brutto brutto.
Rajganj è un postaccio, pure l’hotel che troviamo al momento è brutto. Ma meglio essere in centro che fuori. Ceniamo vicino e dopo due passi rientriamo per dormire.
UNO SGUARDO SULLE VISITE DI OGGI
JALDAPARA N.P. (MADARIHAT)
Il parco dei rinoceronti neri è incuneato a pochi chilometri dal confine con Bangladesh e Bhutan. Frequentato da molti curiosi turisti indiani e da pochi europei, americani, australiani, ospita una fauna specifica composta dai classici grossi mammiferi (cervi, tigri, leopardi, elefanti) e molti uccelli tra cui il bucero (hornbill) simbolo dello Stato, oggetto di venerazione, motivo di festa (vedere ad es. i festival in Nagaland). L’imponente scenario naturale di foresta tropicale quasi intatta sovrasta un fitto sottobosco di felci e arbusti. Il terreno è solcato da corsi d’acqua, laghetti e paludi. Alloggiamo in un eco cottage molto spartano immerso nella foresta, più genuino degli altri alloggi – lodge disponibili nel parco. Qui una nutrita squadra di cuochi e aiutanti ci prepara una cena coi fiocchi a bordo fiume, rischiarata da una luce fioca che rende tutto affascinante.
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