Mercoledì 06 07
Ci spiace partire da Gobiin Anar Camp, salutare gli inglesi, il gruppo Tuttomongolia. Partiamo con un tempo stupendo, costeggiamo le dune di Khongor sulla dx e belle montagne a sx, siamo nel parco di Gobi Gurvan.
Cantiamo a squarciagola, insegniamo le canzoni italiane a Tsojoo e Bothro.
A metà mattina vediamo una grossa mandria di cavalli ed alcune persone che fanno la guardia, vestite con il tradizionale “del”, una casacca dai colori sgargianti che i Mongoli indossano con orgoglio anche nelle attività quotidiane.
Negli ultimi giorni non abbiamo visitato gher, qui abbiamo la possibilità di assistere a un rituale che coinvolge la famiglia proprietaria della mandria e i vicini, lo spirito di solidarietà tra nomadi è necessario per convivere.
I puledri nati quest’anno a un certo punto devono essere staccati dalla madre e indotti a brucare l’erba, mentre la giumenta tramite la mungitura continua a produrre latte. Per questo nella mandria sono dapprima separati e allontanati i puledri che dovranno auto – alimentarsi.
Le giumente sono radunate e ne viene legata una zampa anteriore, per evitare che scappino, i puledrini che ancora allattano vengono legati vicino alle madri e un uomo inizia a mungerle.
Tutti noi, anche Tsojoo e Bothro, siamo spettatori passivi: questo può essere uno spettacolo, anche cruento perché agli animali non garba di essere intruppati e spediti da una parte o dall’altra del campo.
Non capisco cosa ci fanno degli stalloni qui, ma a un certo punto accade un fatto increscioso: uno di questi si eccita, salta su una giumenta legata e la monta, come niente fosse.
In pochi attimi finisce, esce e nella massima indifferenza si allontana, lasciando la femmina immobile sul campo. La scena per quanto divertente mi lascia interdetta, parleremo spesso de “l’ingroppo” commentandolo con battute irriferibili.
Ma la giornata è ancora lunga e, mentre il tempo si guasta e inizia a fare freddo, riprendiamo il cammino verso le montagne, dove si susseguono ben due canyon o gole (Am in mongolo).
La prima, Dugany Am, ha un’imboccatura così stretta che lo Uaz ci passa a malapena, a passo d’uomo, facendo rientrare gli specchietti. Procediamo tra le due sponde di un torrente, ci sono altri quattro fuoristrada prima di noi,
In questo posto bellissimo in agosto ci sarà molta meno acqua.
Idem alla gola del fiume Yol, Yolin Am, situata in cima a un passo impervio dove lasciamo lo Uaz per percorrerne a piedi 3 km finché siamo bloccati dalla presenza di neve e ghiaccio.
In estate inoltrata è percorribile per tutti gli 8 km di lunghezza, ma con meno fascino in assenza delle lastre di ghiaccio.
Questa gola è collocata in un ambiente naturale alpino, non vediamo animali selvatici (antilopi, stambecchi, aquile) ma facciamo una bella passeggiata risalendo il greto del torrentello. La vegetazione è il punto di forza, con fiori, arbusti e piante aromatiche tra cui varie specie di menta e addirittura il prezzemolo selvatico.
Lungo il percorso incontriamo venditori di oggetti di legno e feltro, ottimi ed economici souvenir. Con il fuoristrada sbuchiamo dall’altro lato del canyon, dove c’è il museo dell’aimag, ma non lo visitiamo.
Un arcobaleno ci preannuncia l’ultima tappa, le Vette infuocate di Bayanzag, da 90 anni sede di scavi che ogni estate svelano nuovi resti di animali preistorici.
Man mano che le friabili rocce si sgretolano, erose dal sole, vento e acqua, rivelano segreti che noi stessi potremmo vedere ma non toccare, a meno di rischiare multe salate e il sequestro dei reperti.
Fuori dal sito le solite bancarelle cercano di propinarci qualcosa, ma noi saliamo per un sentiero e, giunti sul plateau con la vista migliore a valle, facciamo un sacco di foto fino al tramonto, quando le rocce si accendono di colori splendenti.
Intravvediamo il vicino Gobi Tour Camp, stasera la cena è più tardi delle 20. Inaspettatamente mangiamo spaghetti, ma soprattutto ci colpisce lo strano biscottino, una confezione di wafer talmente artificiale che lo battezzo “wafer chimico” tra le risate generali.
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