sediamanzano

Vado in Friuli per lavoro, è una grande gioia per me anche se parto con sentimenti contrastanti dopo tanti, troppi anni d’assenza. Calcolo che non percorrevo l’autostrada verso Udine e Trieste da otto anni, quando nell’agosto 2005 con la golfetta rossa andai a trovare Pier e Céline a Budapest, viaggio epico nella solitudine mistica di 800 km percorsi tutti d’un fiato, all’andata come al ritorno.
Oggi è uno di quei lunedì in cui mi costa un sacco mettermi in carreggiata, letteralmente, e solo la curiosità di tornare in Friuli mi mette voglia di partire. Avrei anche il tomtom ma mi ostino a cercare sulla cartina i luoghi di destinazione, per dare un senso anche al mio percorso e per srotolare i tanti ricordi legati ai luoghi dove ho fatto l’università, fino a 21 anni fa. Prima destinazione: Sequals presso Spilimbergo , provincia di Pordenone . Il terremoto del 6 maggio 1976 ha fatto danni anche qui ma la gente si è rimboccata le maniche e ha ricostruito tutto più bello di prima, anche il duomo di Spilimbergo che avevo visto la prima volta nel 1981, ricordo tutta la piazza piena di calcinacci e statue e colonne appoggiati per terra.
Sotto la neve pane: quanta ne è scesa nei giorni scorsi? Le montagne che vedo verso nord costituiscono due fronti naturali, uno basso e scuro, l’altro alto e bianchissimo, oltre le quali il cielo azzurro ci direbbe che tra poco è primavera, ma prima si deve sciogliere la neve e i tanti contadini che lavorano la terra devono essere messi in condizioni di lavorare. Chissà se lo fanno ancora loro, in famiglia, o hanno vicino della buona manodopera che li aiuti? Chissà se nei necessari flussi migratori che li hanno portati in giro per il mondo i friulani, oltre che il denaro, hanno portato a casa anche le tecnologie utili a produrre bene in agricoltura? La statale è un nastro d’asfalto scuro, deserto, circondato da campi che chiedono di essere coltivati, sili, frutteti e vigneti e pochi cartelli che invitano nei locali dove si gusta la cucina tipica. Cantine si annunciano con vasche d’acciaio che luccicano sotto il riflesso del sole, piene di vini preziosi.
Sequals era il paese d’origine di un mio compagno di corso in Belgio , durante i gloriosi mesi dell’Erasmus tra il 1991 e il 1992. Nome francese e cognome friulano, racchiudeva la sua storia familiare nei lineamenti spigolosi del viso e nella grande voglia di lavorare che tutti, qui, hanno nel sangue. Ora lavora in una multinazionale e ha messo su famiglia, questo so. A Sequals per cercare i suoi parenti mi serve il baretto di paese dove qualcuno potrebbe ricordarsene. Parcheggio nella piazzetta con i portici intorno, ho visto una bella insegna del bar che fa al caso mio, ma quando scendo dall’auto vedo solo un altro locale, entro sperando che sia quello giusto. E invece no: al bancone c’è una giovane bionda che evidentemente non sa nulla del mio amico, macchinette mangiasoldi trillano quel brutto rumore che dovrebbe indurre al gioco e pochi uomini si avvicendano a bere e chiacchierare. Pazienza, bevo il latte macchiato che mi scalda per il resto della mattinata, vado in bagno ed esco.
Nella prima visita parliamo delle analisi sui prodotti e della situazione dell’agro alimentare in Friuli , non rosea per usare un eufemismo cioè con punte d’eccellenza che lavorano bene, esportano e si distinguono, e tante situazioni con poco futuro. Mi dica lei cosa hanno fatto i governi italiani per il nostro settore, negli ultimi vent’anni, mi chiede la cliente. Nulla direi, ma non è una buona ragione per andarsene come molti vorrebbero fare. Esco con l’amaro in bocca e mi distraggo a vedere i cartelli che si avvicendano sulla strada per Udine , semideserta anche questa, e tanti paesini snocciolati come perline, aggregati intorno alla strada principale. Case vecchie con i muri in pietra ricordano quanti sassi ci sono qui sotto, anche se sono ben più numerose le case nuove in cemento, dipinte di vari colori. Zone industriali e artigianali dimostrano lo sviluppo degli ultimi decenni, mi fermo un paio di volte in aziende alimentari dove dovrò parlare perbene delle analisi, la prossima volta, mollo giù la brochure e via.
Devo attraversare la città di Udine per giungere alla prossima destinazione, questo sì mi dà un grande tuffo al cuore: via Cotonificio, piazzale Chiavris, via Marangoni, la circonvallazione fino alla stazione alla fine della quale spunta viale Leopardi, sede della mia ultima casetta udinese. Passo oltre cercando di non pensare quanto belli sono stati i cinque anni dell’università, un cavalcavia e via, la città è finita, proseguo verso sud.
Nella seconda visita ho la fortuna di riparlare di noi proprio con un collega di Udine, che con saggio pragmatismo mi dice cose che già so: le differenze tra la multinazionale e l’azienda padronale (pregi e difetti), l’analisi di settori che sono ancora in crescita e tanti consigli per lavorare qui in modo efficace. Parliamo davanti a un tramezzino, parliamo anche di noi. Lui è uguale identico, io non ho fatto la coda quindi temo veda i miei capelli bianchi. Saluto. Proseguo serena dopo questa carrellata di immagini e ricordi, ultima destinazione le valli del Natisone al confine con la Slovenia.
Sono in anticipo e la prendo solo un po’ lunga, ho un cruccio pluriennale che risolverò solo passando per l’antico glorioso distretto di Manzano , la città della sedia. Quanti distretti ci saranno qui in Friuli? Se posso chiamare così tutte le zone storicamente legate a una produzione mi vengono in mente Maniago per i coltelli, San Daniele per i prosciutti, e poi le DOC del vino e poi… Giro intorno al paese come se Manzano fosse diventato un luogo fantasma, di qua non si può, di là la strada è interrotta, insomma dove mi fanno andare? E proprio quando non ci speravo più, dietro un angolo spunta il feticcio che cercavo: la sedia di 20 metri che all’apice dello sviluppo fu eretta per celebrare i fasti di un prodotto di nicchia, esportato in tutto il mondo. Quanto tempo fa? Non lo so, mi conforta solo vedere questa rotatoria decorata con una mega sedia di legno, ritta sulle sue quattro gambe ben dipinte, non screpolate, non rovinate. Bene, penso, è ancora qui. Le aziende del settore però non so come se la passano, le pagine gialle ne contano 76, speriamo che ci siano tutte.

Cividale: l’antica città longobarda ammicca con i cartelli del centro storico ma ho solo il tempo di visitare un produttore di gubana che non nomino, ma mi mette l’acquolina in bocca solo a pensarlo. Suono il campanello e mi accoglie un signore che ha l’aria del padrone: desidera? Sono… ho appuntamento con il dottor X. Gli stringo la mano e si presenta, è proprio il padrone, che gioia! E poco dopo in ufficio ci raggiunge il figlio, a cui illustro brevemente il motivo della visita ma lui taglia corto, sì sì, ma io ho fatto giurisprudenza. Già ci vuole pure quello.
Gubana: tutti i miei amici sanno cos’è? Andate a vedere, anche in questa azienda mi viene fatto un pragmatico quadretto di cosa significa vendere nel mercato globale un prodotto così di nicchia.
Rientro stanchissima baciata dal sole che accompagna sempre chi percorre l’autostrada verso ovest. Coraggio produttori, diamoci una mano, promuoviamo il territorio e facciamo vedere il buono dell’Italia. Insieme ce la possiamo fare e io voglio dare il mio piccolo contributo, per questo sono tornata a nordest.

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