Scesi dalla nave nel primo pomeriggio rischiamo di rotolare giù dall’abbondanza delle libagioni, ma per fortuna il bus ci accoglie e approfitto per un sano pisolino postprandiale mentre veniamo trasportati alla meta successiva, un posto di cui conosco solo il nome ma di cui ignoro totalmente la ricchezza.

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Candiana è per me una scoperta eccezionale e graditissima, con un unico neo, la consapevolezza di essere stata fortunata ma di non poter condividere prossimamente questa fortuna con altri visitatori. Villa Garzoni oggi Carraretto è di proprietà privata pertanto, a parte il suo utilizzo “commerciale” nella scuderia e nei terreni agricoli, è chiusa al pubblico per gli elevatissimi costi di manutenzione. Auspico che, lavorando insieme alla sua promozione, noi possiamo spingere padroni e istituzioni a lavorare insieme per rendere la sua bellezza fruibile e godibile.

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La villa è un’opera geniale ed esteticamente ragguardevole di Jacopo Sansovino, contemporaneo di un altro genio dell’architettura italiana del ‘500, Andrea Palladio. Si trova a Pontecasale, frazione di Candiana, è l’unica opera sansoviniana compiuta nella terraferma veneziana, fuori dall’isola dove, da cinquecento anni, tutti ammirano dentro e fuori gioiellini come le Procuratie Vecchie e la Biblioteca Marciana.

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I Garzoni, signori bolognesi, comprano all’asta Pontecasale nel 1462 e la fanno rifiorire dopo che, per anni, tutta la zona era stata oggetto di razzie e abbandono. Bonifiche imponenti con l’utilizzo di idrovore e soluzioni tecnologiche d’avanguardia rendono fertile il terreno paludoso: 2000 dei 3000 campi acquistati dai Garzoni sono occupati da paludi, dopo meno di cent’anni viene edificata la splendida villa. Noi vi accediamo dalla scuderia, già di per sé imponente e curata con un bel giardino, ma basta volgere lo sguardo per scorgere un viale ornato da piante e statue raffiguranti il Leone di Nemea ed Ercole, simboli della fatica necessaria a domare la natura per asservirla all’uomo. La scalinata è imponente quasi quanto la facciata, a due ordini di arcate con capitelli dorici e ionici, che porta in un cortile con portici e alle scalinate d’accesso al piano nobile.

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Il bravissimo architetto Sergio Longhin, che ci guida nella visita, sa tutto della villa perché l’ha restaurata, la sua però non è una descrizione accademica, è il racconto sentito e appassionato di chi ama il suo lavoro e lo trasmette ai visitatori. Nel cortile notiamo il loggiato, di impostazione molto simile nelle volte ovali alla Biblioteca Marciana di Venezia, con una pavimentazione preziosa: trachite, marmo rosso di Verona, pietra d’Istria. Il pozzo al centro del cortile ha funzione decorativa e di illuminazione, per dare luce al seminterrato nel quale invece espleta la sua funzione di deposito e scorta idrica.

 

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L’architetto ce ne mostra la funzionalità oltre la bellezza: il pavimento leggermente inclinato nei quattro quarti porta ad altrettanti piccoli tombini nascosti, utilizzati come scolo per la raccolta dell’acqua piovana secondo un disegno perfetto. Allo stesso modo l’acqua viene convogliata dal tetto verso il basso. Non saliamo al piano nobile fermandoci nella sala al piano terra, decorata con quadri, affreschi, due bellissimi camini, mobili e libri antichi. Su uno dei camini c’è la firma del Sansovino, anche nelle Vite del Vasari viene citata la vicenda storica e umana del grande architetto fiorentino, che in Veneto trovò maggior fortuna rispetto ai suoi precedenti travagliati, tra Roma e Firenze. Per questo il doge di Venezia lo nominò Proto di San Marco e lo chiamò ad abbellire la città.

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La distinzione spaziale tra le due parti, rustica e dominicale, della villa caratterizza lo stile sansoviniano dallo stile palladiano, improntato alla fusione tra le due parti e forse per questo preferito nel risultato stilistico. Vasari notò le grandi proporzioni della villa, maggiori di quelle del Fontego dei Tedeschi collocato sempre a Venezia, di cui una parte dell’edificio riprende la funzione: magazzino facilmente raggiungibile dall’esterno. Candiana è tuttora bagnata da due fiumi, Barbagara a nord e Rebosola a sud, dietro la villa approdavano le barche, con accesso facilitato ai depositi nel seminterrato. La bella facciata era invece luogo d’accesso dalla strada, attraverso il giardino, dei signori e delle dame, di cavalieri e cacciatori in visita alla tenuta e alla villa. Venezia padrona di tutto doveva tutelare la sua sicurezza e si era pertanto dotata di efficienti consorzi di bonifica, dedicati alla manutenzione delle acque (fiumi, canali, argini) in terraferma, alla prevenzione di inondazioni e altri problemi.

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Villa Renier Cavalli, poco lontano, appartenne ai Garzoni e prende il nome dal doge veneziano Paolo Renier, ora è utilizzata come location per eventi pubblici e privati. Noi ci arriviamo per l’aperitivo pre cena sontuoso e sentito, sempre in compagnia dei nostri angeli custodi che a fine visita ci fanno dono di una brocca di ceramica locale la cui produzione è simile alle scuole di Bassano ed Este.

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La ceramica si chiama candiana alla turchesca perché fu portata qui secoli fa dall’Asia Minore. Era costume dare le ceramiche in dote alle ragazze che si sposavano, perciò raffiguravano temi allegri ed evocativi soprattutto vegetali: garofani, palme e altre piante.

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Pure a Candiana la storia dei signori “laici” si mescola a quella della Chiesa operosa, lontana dai fasti romani eppure così amante del bello. I monaci benedettini cluniacensi che vi si insediano dal 1097 al 1462 edificano un monastero, ma il suo splendore si deve ai Canonici di San Salvatore di Venezia che la seguono fino al 1783 quando gli Albrizzi, nobili veneziani, ne prendono le redini sino al 1942.

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La riqualificazione cinquecentesca del monastero e dell’intera area porta alla ricostruzione del duomo di San Michele Arcangelo da parte di Lorenzo da Bologna. La sua facciata semplice, quasi anonima, cela un interno a una navata, sontuoso ed enorme se si pensa che in paese vivono meno di 4.000 persone.

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La ricchezza di opere eseguite dal ‘500 al ‘700 è dovuta al lavoro collettivo di miniaturisti, copisti, organisti, annovera un affresco di oltre 1.000 metri quadri che orna il soffitto (di Michelangelo Morlaiter, scuola del Tiepolo) e quadri di scuola veneta (Palma il Giovane, Piazzetta) alle pareti.

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Ma ci sono anche un ciborio con baldacchino del ‘600 – ‘700, un coro composto da ben 62 stalli e un organo in legno dorato dell’Antegnati, artista bresciano settecentesco che ora, restaurato, si trova in una posizione diversa dall’originaria.

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Una meraviglia, una continua sorpresa per un paese che al visitatore frettoloso (come me) potrebbe sfuggire. Spero che invece Candiana sia sempre più luogo di soggiorno e visita, meta di ospiti curiosi, senza fretta.

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