Ferramonti è la frazione di Tarsia, in provincia di Cosenza, nota per il campo di concentramento dove sono state internate oltre tremila persone, nel corso della Seconda Guerra Mondiale. L’ho visitato lo scorso mese di ottobre, durante il cammino lungo La Via Popilia, è stata una visita densa di significato innanzi tutto perché non mi sono sentita in un luogo di sofferenza e morte, e questa è la prima cosa che voglio sottolineare.

Ci sono arrivata a piedi, entrando in religioso silenzio e uscendo con un sincero stupore, dopo avere letto e ascoltato le storie di vita di questi italiani e stranieri, ebrei e non, costretti a vivere qui durante le persecuzioni naziste. Nel campo d’internamento di Ferramonti si incrociano storia e memoria, e oggi si guarda al futuro con iniziative ed eventi periodici organizzati nel museo dall’amministrazione comunale, a cui l’area appartiene.

LA STORIA

Ferramonti è stato costruito per internare gli ebrei che vivevano in Calabria, non solo nella zona di Tarsia, ed ha poi allargato la sua funzione diventando il campo di concentramento fascista più grande presente sul suolo italiano. Non solo per gli ebrei quindi, ma per italiani e stranieri di varie etnie e religioni, rifugiati politici e antifascisti: libici, yugoslavi, greci, francesi, cinesi. Occupa una superficie di 16 ettari su un’area di paludi malariche, al tempo soggette a bonifica, poco distante dal corso del fiume Crati.

Progettato da Eugenio Parrini, amico di Mussolini con interessi economici in zona, fu utilizzato per tre anni dal 1940 al 1943, è poi stato affidato alle truppe alleate, infine sgomberato e chiuso nel 1945.

Conteneva oltre 90 baracche dove gli internati svolgevano attività quotidiane ricreative, culturali e religiose, in una comunità sui generis dove erano in funzione l’asilo, la scuola, la libreria, una chiesa e ben tre sinagoghe.

La direzione era affidata a civili, il controllo a una guarnigione militare. Le cure mediche con pronto soccorso e farmacia erano in capo a medici internati e infermieri. Nel campo furono celebrati matrimoni e nacquero bambini.

La malaria esisteva ma non fece tanti danni quanto le condizioni igieniche scarse, il freddo e la malnutrizione che colpì i più deboli, causando però pochi decessi in proporzione alle persone ospitate. C’è da dire che il supporto esterno, morale e materiale, non venne meno né da parte della popolazione civile né delle autorità religiose. C’era solidarietà fra chi era fuori, libero, e chi si trovava nel campo, internato.

LA VISITA

Il campo di internamento a Ferramonti di Tarsia è un luogo emblematico per conoscere, attraverso documenti e testimonianze, la vita da reclusi degli internati e la storia del campo a partire dal 1938, quando il regime fascista di Mussolini promulgò le leggi razziali.

Assieme ad Angelo e Immacolata, le nostre guide, ci accompagna nella visita Roberto Ameruso sindaco di Tarsia. In questi casi a volte faccio la scolaretta indisciplinata, sgattaiolando tra una sala e l’altra a fare foto mentre ascolto le spiegazioni da lontano.

I volti degli internati mi colpiscono quasi quanto i disegni e le parole scritte che ci hanno lasciato, vergate a mano o riportate stampate a chiare lettere. Li immagino nella quotidianità degli spazi condivisi, come il dormitorio con due file ordinate di brande di legno. Nei giochi dei bimbi, nel tentativo di sorridere alla vita.

Le immagini toccanti visibili alle pareti, le parole di dolore e speranza degli internati costituiscono una collezione permanente unica per il nostro Paese, testimonianza di un periodo nero dal quale essi sono usciti quasi tutti in vita.

Come detto qui non c’erano forni crematori o altri strumenti di sofferenza e morte, e nel campo vi furono davvero pochi decessi. Ferramonti ha rappresentato, paradossalmente, una speranza di vita per gli ebrei durante i tre anni di apertura, e poi di riscatto alla fine della guerra, fino a diventare oggi un simbolo per tutti.

IL FUTURO

Dal 25 aprile 2004 il campo di Ferramonti è diventato un Museo della Memoria e una Fondazione, arricchita costantemente da testimonianze, dirette e indirette, degli abitanti dell’area circostante ma soprattutto dai contributi di chi ci è passato e, diversamente dagli altri campi di concentramento, ne è uscito.

Diversi ex internati hanno fatto fortuna nelle rispettive professioni: politici, artisti, sportivi, imprenditori attivi in tutto il mondo. Lo psichiatra Ernst Bernhard e il giornalista Riccardo Ehrmann sono i miei preferiti. Il primo è stato allievo di Jung, il secondo ha annunciato assieme a Gunter Schabowski la caduta del muro di Berlino, il 9 novembre 1989, quando era corrispondente ANSA in Germania.

L’archivio di Ferramonti e la biblioteca, dedicata all’editore austriaco Gustav Brenner, sono in allestimento, assieme al bookshop e caffetteria. Saranno dotati di materiale cartaceo e pubblicazioni anche multimediali, per una catalogazione e fruizione completa dove alle permanenti sono accostate esposizioni temporanee.

Ferramonti è un luogo di ricerca dal valore inestimabile, che va ben oltre la dimensione locale e coinvolge le comunità ebraiche sparse per il mondo, con le quali sono possibili collaborazioni e gemellaggi.

A Ferramonti si celebrano sia l’anniversario della liberazione dell’Italia dal nazifascismo, sia le festività ebraiche, ovviamente è un punto di riferimento per le comunità tuttora presenti in Calabria, con la speranza che guerre e persecuzioni razziali divengano un brutto ricordo del passato come recita la nostra costituzione: l’Italia ripudia la guerra.

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