Il grande giorno del Taj Mahal è arrivato, ma ad Agra vogliamo vedere anche tutto il resto e mi muovo di buon mattino. Prima delle 6 esco a fare i biglietti per schivare i turisti (soprattutto europei) che si affollano agli ingressi sin dall’apertura. Prendo al volo un tuk tuk e attraverso strade improbabili, con il brivido che l’autista mi porti altrove, arrivo presto all’ingresso del sito. Con ogni biglietto danno un kit composto da: soprascarpe, cartina, mezzo litro d’acqua. Molto comode sono le riduzioni per entrare in giornata negli altri monumenti di Agra e dintorni, come a Sikandra, dove però andremo l’indomani. Facciamo colazione nella terrazza dell’hotel, a causa della foschia vediamo solo la sagoma delle cupole dei monumenti cittadini. Visitiamo prima il forte rosso, enorme, ricchissimo di decorazioni e giardini curati, poi il piccolo Taj, un gioiellino che gli indiani chiamano Itimas Ud Daulah. Abbiamo deciso di visitare il Taj Mahal per ultimo, quando dovrebbero esserci meno turisti e soprattutto le luci migliori del tramonto, a fine giornata.

Ci fermiamo a cambiare rupie in Fatehabad Road, la zona degli hotel, potremmo pranzare qui ma nel gruppo ci sono esigenze diverse (mangiare, fare shopping, fermarsi solo per un caffè veloce). Potremmo pure dividerci fino all’ora della visita, invece andiamo al bazar in pulmino e rickshaw sperando di poter fare ogni cosa. Non c’e nulla da comprare e poco da mangiare, ripartiamo trafelati verso il Taj Mahal, dove almeno c’è qualche bancarella. Entriamo senza bagagli e, dopo il solito controllo al metal detector, la nostra stanchezza è annullata dal susseguirsi di emozioni che lascio vivere ai prossimi visitatori: l’oggetto della visita è evidente ma il Taj Mahal è di una bellezza che toglie il fiato, colpisce più del quadro più bello, è diverso da qualsiasi altro monumento visitato in precedenza, non ha nulla a che vedere con le nostre chiese e palazzi. Dapprima assoldo una guida e stiamo insieme, poi proseguiamo in ordine sparso e ci rivediamo al calar del sole, davanti a questo palazzo che ogni minuto cambia colore, davvero strepitoso. Stiamo muti a guardare e infine dobbiamo varcare la soglia d’uscita, a malincuore. Un simpatico pulmino elettrico ci porta in hotel, poi ceniamo senza birra (e qualcuno brontola) in Fatehabad Road. Dopo cena le donne fanno shopping, gli uomini si riposano al bar davanti a un buon caffè e ci ritroviamo in hotel per il meritato riposo.

Da oggi in poi inizia la lunga marcia di avvicinamento a Delhi, nostra destinazione finale. Siamo in giro da dieci giorni ma il viaggio ci riserva ancora delle belle sorprese. Al mattino “apriamo” il sito di Sikandra – siamo i primi visitatori – avvolto nella foschia. Ammiriamo nuovamente lo schema costruttivo: il corpo centrale del mausoleo ospita l’imperatore moghul, accanto riposano due delle tre mogli. Egli ne ha collocate qui solo due, la musulmana e l’induista, e in un mausoleo separato ha messo la moglie cristiana. Anche qui le tre porte d’ingresso sono rivolte a est, sud e ovest affinché vedano entrare la luce del sole per tutto il giorno. Cervi, scimmie e pavoni dominano l’immenso parco deserto, tutto per noi, prima dell’arrivo dei turisti. Per fare colazione perdiamo 1h come al solito, al ristorante di fronte sono lentissimi e alcuni di noi non si sono abituati ad aspettare il tempo necessario per preparare solo per una tazza di tè. L’India è pure questo, io stessa faccio fatica ad abituarmi a questi ritmi.

L’India è pure arrivare al sito di Fatehpur Sikri, un’altra meraviglia, ed essere assaliti da venditori più insistenti del solito, da millantati accompagnatori che ci minacciano di non poter entrare senza una guida autorizzata, da una confusione irreale che rischia di farci perdere la pazienza. E ci è chiaro perché questa è chiamata “la città perfetta”: perfetta nelle proporzioni e nei giochi di luce e d’acqua, nell’ampiezza dei giardini, degli spazi aperti e dei porticati, perfetta nel cammino tra la città e la moschea, imponente e aperta su una valle che a gennaio viene coltivata come nei nostri mesi caldi.

All’uscita vi sono dei baracchini, ma per mangiare ci affidiamo all’autista che promette di portarci in un bel posto. E così è, il suo posto è davvero bello ma… è in un resort, siamo serviti in giardino da camerieri in divisa, il pranzo ci costa come una cena, e nel negozio adiacente chi vuole può comprare qualcosa. Siamo dei perfetti turisti! Per una volta arriviamo a Jaipur presto, il nostro ingresso segna il cambiamento di stato: ora siamo in Rajastan. L’architettura è del tutto diversa, la gente ha lineamenti meno morbidi, tanti uomini girano con un turbante in testa, elefanti, cavalli e cammelli sono spesso utilizzati come mezzi di trasporto. Il traffico d’accesso alla città e al centro è pazzesco. Qui gireremo con i mezzi: c’è un gran caos ma abbiamo voglia di spendere i nostri soldi, toccare tessuti, provare gioielli, questa sarà la nostra serata libera per cena e shopping a piacere. L’hotel è curato nella lobby e nelle sale, ha piscina, internet point e sala massaggi, ma è decisamente trascurato nelle stanze, a volte prive di acqua calda e poco pulite. Pazienza, passeremo poco tempo nelle stanze.

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